Paolo Restani, note di un pianoforte romantico

Paolo Restani, note di un pianoforte romantico

giovanni francio

Paolo Restani, note di un pianoforte romantico

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lunedì 14 Novembre 2016 - 08:20

Splendida interpretazione di Restani nel concerto del Palacultura inserito nell'ambizioso Progetto Chopin dell'Accademia Filarmonica-Associazione Bellini

Paolo Restani, splendido pianista che altre volte abbiamo avuto la fortuna di ascoltare, si è esibito sabato presso il Palacultura per la stagione concertistica dell’Accademia Filarmonica, in unione con l’Associazione V. Bellini, eseguendo brani di compositori fondamentali nella letteratura dello strumento: Rachmaninov, Liszt e Chopin. A differenza di Chopin, che concepì i suoi 24 Preludi op. 28 come un ciclo unitario, da eseguire pertanto tutti insieme, Sergej Rachmaninov compose i 13 Preludi, op. 32 come pezzi, da eseguire anche singolarmente, ed infatti egli stesso soleva eseguire nei concerti solo alcuni preludi di tale raccolta. Pertanto è stata perfettamente coerente dal punto di vista filologico la scelta di Restani di eseguire, all’inizio della sua esibizione, solo sei dei tredici preludi dell’op. 32, insieme al preludio op. 3 n.2 in do diesis minore, il primo preludio composto dal musicista russo, rimasto uno dei più celebri e più eseguiti, sebben non particolarmente amato dallo stesso Rachmaninov.

Si tratta di brani dalla tipica sensibilità romantica che contraddistingue il pianismo del compositore russo, autore novecentesco che non abbracciò i nuovi orizzonti tracciati prima da Debussy e poi dalla scuola viennese, che portarono gradualmente alla disgregazione del sistema tonale. Rachmaninov si mantenne su una linea tradizionale, da seguace di Chopin, in questo senso distinguendosi dai musicisti russi contemporanei come Prokofiev e Strawinsky. I preludi, dal carattere per lo più drammatico e inquieto, utilizzano sovente poderosi e ripetuti accordi, secondo una tecnica prediletta da Rachmninov, che era dotato di mani molto grandi e quindi adatte all’esecuzione degli accordi. Ai preludi ha fatto seguito l’esecuzione di due degli Studi Trascendentali di Franz Liszt, altro autore fondamentale per la storia dell’evoluzione tecnica del pianoforte. Si tratta tuttavia di due studi, il n. 3, Paysage, e il n. 9, Ricordanza, nei quali prevale l’elemento melodico piuttosto che il virtuosismo acrobatico, proprio degli altri studi trascendentali, sebbene in particolare nel n. 9 non manchino le volate rapide e difficili di tipico stampo lisztiano. L’esecuzione di Paolo Restani è stata impeccabile: nitido negli accordi in Rachmaninov, elegante e preciso nel fraseggio, e perfettamente a suo agio nell’interpretazione degli studi di Liszt. La prima parte del concerto si è conclusa con il “piatto forte” della serata, la famosissima Polacca in la bemolle maggiore op. 53 di Fryderyk Chopin. Soprannominata Eroica, titolo apocrifo come accade per tutte le composizioni di Chopin, in realtà non sappiamo se e a quale episodio eroico legato alla propria patria si sia ispirato il musicista polacco nel creare un siffatto brano, di straordinaria potenza epica. Cosa si può scrivere ancora della Polacca Eroica? Mi limiterò a ribadire che la grandezza e la fama del brano, sicuramente una delle vette del pianismo romantico, sono dovute, oltre che alla bellezza e l’incisività di temi che rimangono scolpiti indelebilmente nella memoria di ognuno, soprattutto alla presenza contemporanea nello stesso capolavoro del sentimento eroico e patriottico e di quello malinconico e nostalgico, le due fondamentali anime della poetica pianistica di Chopin. In particolare la lunga divagazione melodica, dolcissima, accorata, che precede il gran finale con il ritorno del tema eroico costituisce sicuramente uno dei momenti più alti di tutta la letteratura pianistica. Molto equilibrata l’interpretazione di Restani, che ha eseguito il pezzo “né troppo veloce né troppo forte” come Chopin esigeva fosse eseguito.

La seconda parte del concerto è stata dedicata a brani di Franz Liszt. In particolare Restani ha dapprima eseguito delle trascrizioni di Liszt su musiche di Giuseppe Verdi: la "Danza sacra e duetto finale" dall’Aida, il “Miserere” dal Trovatore e “Parafrase de Concert” dal Rigoletto. Franz Liszt è stato autore di innumerevoli trascrizioni per pianoforte di opere, sinfonie, lied di musicisti a lui contemporanei o antecedenti, e tale meritoria attività, in un’epoca in cui la musica poteva essere ascoltata solo dal vivo, ha contribuito notevolmente alla diffusione della stessa. Oggi molte di queste trascrizioni, se pur sempre piacevoli, anche se talora appesantite da un eccesso di ornamentazioni virtuosistiche, possono sembrarci datate, ed in effetti molte di esse si ascoltano raramente nelle sale da concerto. Questo vale anche per le prime due trascrizioni eseguite, dall’Aida e dal Trovatore, mentre rimane ancora molto eseguita la parafrasi dal Rigoletto, un brano particolarmente riuscito e di sicuro effetto. Il brano è basato sul tema del celeberrimo quartetto “Bella figlia dell’amore”, e se da un lato permette al pianista di fare sfoggio di bravura, con numerosi passaggi di elevata difficoltà tecnica, dall’altro offre l’occasione di ascoltare, per lo spettatore, un meraviglioso adattamento di uno dei brani più amati dai seguaci dell’opera lirica. Eccellente esecuzione di Restani, molto sicura e appassionata, come del resto quella dell’ultimo brano del lungo e impegnativo programma, la Rhapsodie espagnole sempre di Liszt, un brano gradevole, forse un po’ esteriore, ispirato a danze e ritmi spagnoli, basato su più temi, dei quali il primo però, la famosa Folia, è in realtà derivazione di una danza di origine portoghese. Dopo un concerto così impegnativo sia dal punto di vista della difficoltà dei brani eseguiti, sia per la lunghezza (quasi due ore), il pubblico entusiasta ha dovuto insistere con gli applausi per ottenerre l’agognato bis, che comunque alla fine è stato concesso: lo splendido La plus que lente di Claude Debussy, un valzer lento e sognante, raffinatissimo, una delle pagine pianistiche più affascinanti del musicista francese, composto nel 1910, dall’incantevole ed enigmatica coda.

Giovanni Franciò

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