“Romanticismo musicale”: l’energia di Elisa Tomellini e lo spirito di Rachmaninov

“Romanticismo musicale”: l’energia di Elisa Tomellini e lo spirito di Rachmaninov

giovanni francio

“Romanticismo musicale”: l’energia di Elisa Tomellini e lo spirito di Rachmaninov

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domenica 20 Marzo 2016 - 23:09

Impeccabile interpretazione al Palacultura per l'acclamata pianista genovese. Inizio con l'Improvviso Fantasia e la Berceuse di Chopin prima di un approfondimento sull'opera del compositore russo

Nell’ambito del percorso “Il Romanticismo musicale: Progetto Chopin”, inserito nella stagione musicale dell’Accademia Filarmonica, si è esibita il 19 marzo, al posto della pianista Mia Miljkovic – che avrebbe dovuto eseguire i 24 preludi di Chopin – la pianista genovese Elisa Tomellini. Il programma proposto si ascrive a pieno titolo al “Romanticismo musicale”, un po’ meno al “Progetto Chopin”, dal momento che l’artista ha eseguito, del compositore polacco, solo i primi due brani del concerto, mentre il resto della serata è stato dedicato al musicista russo Serghei Rachmaninov.

Di Fryderyk Chopin la Tomellini ha eseguito dapprima il celebre “Improvviso fantasia” in do diesis minore, op. 66. Si tratta di un brano pubblicato postumo, dopo la morte del musicista, ma risalente al 1834. Il titolo di “Improvviso fantasia” gli è stato attribuito, del tutto incomprensibilmente, dall’amico di Chopin Julian Fontana, che ne curò la pubblicazione, trattandosi invece di un vero e proprio improvviso. Strutturato secondo lo schema A, B, A, inizia con un allegro agitato, ripreso nel finale, mentre la parte centrale è dominata da un andante cantabile di carattere fortemente lirico. Lo stesso Chopin, a dispetto della popolarità che avrebbe salutato il pezzo, non amava questa sua composizione, troppo ovvia melodicamente, oggi diremmo troppo “sentimentale”. Di ben altro spessore il secondo brano di Chopin interpretato dalla giovane pianista: la celeberrima “Berceuse” (ninna nanna) op. 57. Si tratta di una dolcissima cantilena, in cui la mano destra esegue degli splendidi arabeschi in variazioni (sedici) di un tema principale, mentre la mano sinistra accompagna il pezzo con un basso ostinato, sempre uguale dall’inizio alla fine, come fosse un direttore d’orchestra (così Chopin soleva definire l’accompagnamento della mano sinistra). Il risultato è quello di una sonorità misteriosa e magica, dall’atmosfera incantata e raffinatissima, che lascia l’ascoltatore come inebriato dopo il risveglio da un sogno fantastico. Una ninna nanna che, come scrisse Hedley, “scoraggia chiunque dall’idea di scriverne un’altra”. L’esecuzione della Tomellini non ha convinto del tutto, per la mancanza, nell’op. 66, di quei chiaro scuri, di quei rallentando e accelerando (rubato) che rendono amabile una composizione che altrimenti risulta un po’ banale, e, nella Berceuse, per aver usato poco il “respiro”, quella piccola pausa fra una variazione e l’altra, che contribuisce a rendere il brano così ammaliante; in questo ultimo pezzo è forse mancato quel tocco “dolce” come indicato da Chopin, che caratterizza tutto il pezzo, da suonare sempre “piano”. Elisa Tomellini ha comunque dimostrato un’ineccepibile tecnica, che le ha permesso di sfoggiare il suo virtuosismo nel resto della serata. Nei brani di Rachmaninov proposti infatti la pianista è apparsa molto più a suo agio, tanto da candidarsi a divenire una vera specialista del compositore russo. Il primo brano – ”Suite in re minore” – è una composizione ritrovata solo nel 2002 in un archivio in Russia, un manoscritto senza nome né titolo, ma che gli esperti hanno riconosciuto come una trascrizione di una suite per orchestra di Rakhmaninov andata perduta. Eseguito sabato al Palacultura per la prima volta in Italia, consta di quattro movimenti (alla stregua di una sonata): Allegro moderato, Lento, Minuetto e Allegro. I primi due movimenti sono senz’altro i più interessanti, per il manifestarsi di quel pathos post romantico tipico del musicista russo, che rimase sempre nella scia di Chaikovski, non abbracciando le nuove correnti alternative della musica novecentesca, a differenza dei suoi contemporanei Stravinsky e Prokofiev. In tutto il brano sembra respirarsi l’atmosfera dei celebri concerti per piano e orchestra del compositore russo, e possiamo senz’altro affermare che è stata una vera fortuna l’aver assistito all’esecuzione di siffatto brano di cui si erano perse le tracce per oltre un secolo. Meno interessanti i brani eseguiti nella seconda parte del concerto: “4 pezzi”, e Morceaux de Salon op. 10. Quest’ultima composizione in particolare, che ha impegnato la maggior parte del concerto, è una raccolta di composizioni diverse fra loro, composte in giovanissima età da Rachmaninov durante gli studi al conservatorio di San Pietroburgo, ispirata, anche nei titoli dei brani, ad analoghe composizioni di Chopin (Notturno, Valzer, Mazurca), Schumann (Umoresca, Romanza) e Mendelsshon (Barcarola) senza peraltro mai raggiungere i modelli proposti.

La Tomellini ha dimostrato una pregevole energia nell’interpretare i brani di Rachmaninov, evidentemente molto più congeniali al suo temperamento, esibendo una sicurezza ed un virtuosismo del tutto ragguardevoli. Il pubblico ha invocato un bis di Chopin, forse deluso per non aver potuto ascoltare i 24 preludi, ed è stato accontentato con una pregevole interpretazione di uno degli studi più celebri, il n. 12 dell’op. 10 (cosiddetta “La caduta di Varsavia” epiteto ovviamente non di Chopin). In seguito a fragorosi applausi, la pianista ha concesso altri due bis, due trascrizioni da lei stessa composti di altrettanti famosissimi brani di Piazzolla: Libertango e Oblivion, esecuzione strepitosa che ha entusiasmato il pubblico del Palacultura. Unica nota stonata: troppo spesso l’incanto della musica è stato disturbato dal non altrettanto piacevole suono dei cellulari, ma è così difficile spegnerli per un paio d’ore?

Giovanni Franciò

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