“Fedra”, lucida follia tra erotismo e castità

“Fedra”, lucida follia tra erotismo e castità

Tosi Siragusa

“Fedra”, lucida follia tra erotismo e castità

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mercoledì 07 Settembre 2016 - 22:07

La critica sempre attuale del potere che corrompe nell’opera di Seneca portata in scena al Teatro Antico di Taormina

La “Fedra” di Seneca, dopo il debutto al Teatro Greco di Siracusa e in attesa di inaugurare la rassegna “Il mito e il sogno” nell’Anfiteatro romano di Ostia Antica, ha deliziato gli spettatori del Teatro Antico di Taormina nei giorni 3 e 4 settembre. L’Inda procede quindi nel suo connubio con i teatri di pietra anche in ambito internazionale per esportare cultura nel suo percorso più che centenario.

L’evento teatrale taorminese, arricchito peraltro da un’insolita – per il nostro gusto moderno – performance del coro, in composizione maschile e femminile, intento, oltre che ad approntare danze, al canto anche con “assoli”, con le prime corifee Elena Polic Greco e Simonetta Cartia, è stato diretto, nell’ambito della neonata iniziativa Anfiteatro Sicilia da Carlo Cerciello; gli interpreti, Imma Villa in primis, nel ruolo della dolente protagonista, malmaritata, in preda a sofferte pene d’amore per il figliastro, Fausto Russo Alesi, nelle doppie vesti di Teseo (con successo) e di Ippolito (ruolo meno riuscito, per la mancanza del phisique du role), Bruna Rossi, la ieratica nutrice, e il messaggero accorato Sergio Mancinelli, hanno tutti validamente reso un appropriato apporto per la tragedia euripidea, rappresentata per la prima volta alle Grandi Dionisie del 428 a.C. ad Atene, come rivisitata da Seneca. L’autore latino, che come sempre – imitato in questo da Jean Racine – ha privilegiato lo spostamento dall’azione agli ambiti introspettivi (già dalla diversa intitolazione della tragedia emerge la scelta di concentrarsi sulle sventure dell’eroina e sui suoi stati d’animo e non sul giovane amato) è stato dunque degnamente rappresentato e menzione particolare va riservata alle scenografie, con riferimento ad una foresta ove la natura, quasi spettrale, è corrispondente alle inclinazioni rupestri ed al culto di Diana, dea della caccia, ai sentimenti eccessivi e manichei del bellissimo Ippolito, votato alla castità, figlio dell’amazzone Antiope, già sposa di Teseo. Meritevoli di citazione sono altresì gli splendidi costumi, ove gli abiti sontuosi (in particolare quelli rappresentativi della regalità di Teseo e Fedra) sono, dopo le prime apparizioni, dismessi dai protagonisti e rimangono in scena, quasi a testimonianza della volontà dei due coniugi di spogliarsi dei ruoli di potenti. La figlia del re cretese Minosse e di Pasifae (rea di aver generato il fratellastro Minotauro dall’amore mostruoso con un toro) è di stirpe divina, discendendo dal Sole e da Giove. La trama è dunque ispirata al mito greco, pur nel comprensibile mutamento di gusto, sensibilità e concezione di vita, nello scarto fra le due epoche ed il conflitto fra ratio e passione qui si interiorizza, divenendo nell’eroina pathos, lacerazione della voluntas, quella della passione, che la precipita verso il crimen della confessione d’amore, e quella della ratio, che la porterà a riscattarsi con la confessione moralista a Teseo dell’innocenza del giovane e con il suicidio dopo la morte dell’amato.

La Fedra di Seneca serba in uno la perseveranza del suo amore e della sua coscienza. Nella Fedra di Racine la passione adulterina e incestuosa è ancor più fatale e incontrollabile e rappresenta la forza del male, che infine vince la regina. Rispetto al testo euripideo, è certo attenuata in Seneca la misoginia, derivata, nella tragedia greca, dagli insulti di Ippolito nei confronti delle donne. In conclusione, come Medea, anche Fedra è caratterizzata in ogni versione dalla compresenza di elementi irrazionali e di lucide razionalità: in Fedra l’analisi razionale produce una conoscenza che non si identifica socraticamente con il bene, ma con la consapevolezza dolorosa dell’immodificabilità della sua situazione; in sostanza i valori dell’etica aristocratica della purezza di Ippolito e del senso dell’onore di Fedra, anche per l’impulso irrazionale all’ira di Teseo, divengono causa di rovina.

Tosi Siragusa

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