Christian Leotta magistrale nella rilettura di Beethoven

Christian Leotta magistrale nella rilettura di Beethoven

giovanni francio

Christian Leotta magistrale nella rilettura di Beethoven

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sabato 26 Novembre 2016 - 11:08

Il pianista catanese ha eseguito le sonate del grande compositore tedesco in un concerto certamente penalizzato dal nubifragio che ha investito la città nelle scorse ore. Oggi la continuazione alle ore 18

I due concerti in programma venerdì 25 novembre e sabato 26 novembre (ore 18), per la stagione concertistica dell’Associazione V. Bellini in unione con l’Accademia Filarmonica, concludono il poderoso ciclo dell’integrale delle sonate per pianoforte di Ludwig Van Beethoven, iniziato a Messina nel 2014, eseguito da uno specialista assoluto, il pianista catanese Christian Leotta, insignito con medaglia dal Presidente della Repubblica Ciampi nel 2004 proprio per l’interpretazione dell’intero ciclo nei concerti di tutto il mondo, impresa che pochissimi nella storia concertistica del pianoforte possono vantare.

Ascoltare le trentadue sonate di Beethoven, in pratica la bibbia nel campo delle sonate per pianoforte, è un vero privilegio per gli amanti della musica. Purtroppo venerdì, a causa di un violentissimo nubifragio che si è abbattuto su tutta l’isola, con dichiarazione di allarme rosso da parte del sindaco della città, il Palacultura è stato quasi deserto, una trentina di spettatori ad ascoltare il maestro Leotta che, con grande professionalità, ha interpretato impeccabilmente, come se la sala fosse piena, le quattro sonate in programma, applauditissimo, per come possono applaudire e farsi sentire pochi spettatori di una sala semivuota. Per fortuna oggi gli appassionati di musica messinesi, abbonati e non, possono rifarsi, assistendo all’ultima esecuzione del ciclo, una delle più interessanti di tutta la serie. Infatti, senza voler fare alcuna graduatoria delle sonate di Beethoven, ci sembra si possa affermare che il programma odierno sia molto più allettante rispetto a quello di ieri, poiché comprende la celeberrima Patetica col suo splendido e famosissimo adagio, e soprattutto la sonata n. 32 op. 111, l’ultima sonata del musicista tedesco, uno dei sommi capolavori dell’intera letteratura pianistica, che contiene nelle variazioni dell’Arietta, il movimento finale, alcuni momenti fra i più commoventi che si possano concepire in musica, ma di questo scriveremo dopo il concerto, assolutamente da non perdere. Venerdì Leotta ha eseguito dapprima la Sonata n. 12 in La Bemolle Maggiore, op. 26, nei quattro movimenti Andante con variazioni, Scherzo: Allegro molto, Marcia funebre sulla morte di un eroe: Maestoso andante, Allegro. Una sonata importante nell’evoluzione artistica di Beethoven, sia per le variazioni su un tema nobile e bellissimo, – variazioni che diventano sempre più importanti nel procedimento compositivo del tedesco, assurgendo qui per la prima volta a protagoniste di un primo movimento – sia soprattutto per la marcia funebre, dedicata alla morte di un eroe che ancora nessun critico, nonostante molteplici supposizioni, è riuscito ad individuarne l’identità; marcia funebre amatissima da Chopin (che pure non stravedeva per Beethoven) tanto che indusse lui stesso a comporre una sonata con marcia funebre; movimento inoltre che anticipa di qualche anno la straordinaria marcia funebre che costituisce il secondo movimento della sinfonia n. 3 Eroica. È quasi inutile sottolineare come l’interpretazione di Leotta sia stata impeccabile, rigorosa, molto sentita ma nello stesso tempo contenuta, dimostrando un eccezionale controllo della materia musicale beethoveniana (come del resto in tutte le sonate eseguite). La prima parte del concerto si è conclusa con l’esecuzione della Sonata n. 4 in Mi Bemolle Maggiore, op. 7, nei movimenti: Allegro molto e con brio, Scherzo: Allegro, Largo con gran espressione, Rondò: Poco allegretto e grazioso. Si tratta di una sonata giovanile che segna già una svolta nella storia della sonata per pianoforte, per la assoluta libertà di forma, la ricchezza dei temi (talora eccessiva e un po’ verbosa, ma stiamo parlando di un musicista giovanissimo), e la lunghezza della composizione, la più lunga sonata di Beethoven per numero di battute dopo l’op. 106 Hammerklavier. Interessantissimo Il “Largo” con quella statica fissità, pieno di pause, desolato, che tocca i registri più gravi della tastiera, precursore di composizioni che vedranno la luce molti anni dopo. La seconda parte della serata è iniziata con la Sonata n. 22 in Fa Maggiore, op. 54, in soli due movimenti: In tempo d'un minuetto, Allegretto. Si tratta in realtà di una sonatina, nella quale alcuni critici hanno voluto vedere un incidente di percorso, altri una tappa comunque fondamentale nell’evoluzione compositiva di Beethoven, testimonianza di quella libertà di forma che per il musicista di Bonn ha sempre costituito un traguardo fondamentale da perseguire (basti pensare agli ultimi quartetti), libertà che nella sonatina si esplica in particolare nel primo movimento (mai nessuno aveva pensato ad un minuetto come primo movimento di sonata!) ma anche nel secondo, un piacevole ed efficace moto perpetuo. A noi sembra un gradevole esercizio stilistico, di elevata qualità, incastonato fra le due gigantesche sonate op. 53 Waldstein e op. 57 Appassionata.

Ha concluso la serata l’esecuzione della Sonata n. 28 in La Maggiore, op. 101, nei movimenti: Un po' vivace e con il sentimento più intimo, Vivace alla Marcia, Lento e pieno di ardente ispirazione, Presto, ma non troppo, e con decisione. Fa parte delle ultime sonate di Beethoven, terminata alla fine del 1816, dedicata ad una sua ex allieva, la baronessa Dorotea Ertmann, ottima pianista e tenuta in gran conto da Beethoven stesso, tanto da dedicargli una delle sonate più importanti e difficili. Si tratta di un’opera davvero problematica, dove la ricerca del nuovo e la sperimentazione talora rischiano di comprimere la vena poetica, pur presente nella sonata. Dopo un primo movimento col suo dolcissimo incipit, quasi mozartiano, che diviene l’elemento caratterizzante di tutto il brano, il secondo e l’ultimo movimento – separati da un breve adagio, una pausa meditativa e di raccoglimento – sono intrisi di contrappunto e di elementi di fuga, una sperimentazione in cui i modelli barocchi polifonici vengono rielaborati in chiave moderna, all’interno della forma sonata, ma che tradiscono però, come giustamente osservato da molti critici, un eccessivo studio, una fatica che nuoce alla fluidità e naturalezza della musica. Questa fatica, questa mancanza di scioltezza che già Mozart aveva superato nella sonata K 533 e soprattutto nell’ultimo movimento della sinfonia Jupiter, sono da considerare però come una tappa essenziale per il raggiungimento degli straordinari risultati nel campo della polifonia e del contrappunto che Beethoven avrebbe perseguito da lì a poco, con le fughe dell’Hammerklavier e della Sonata Op. 110 e infine con la “Grande Fuga” op. 133 per quartetto d’archi. Strepitosa l’interpretazione di Leotta, puntuale, precisa e rigorosa nel contrappunto, non vediamo l’ora di ascoltarlo nell’op. 111.

Giovanni Franciò

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