Fate cattive. Istinto di ribellione

Fate cattive. Istinto di ribellione

Tosi Siragusa

Fate cattive. Istinto di ribellione

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giovedì 27 Aprile 2017 - 07:08

Fra presenze irreali, sculture, biscotti appena sfornati e polvere che non vuole saperne di andar via si snoda un dramma inquietante di incontestata consistenza. Lo spettacolo è andato in scena alla Sala Chaplin di Catania

Una intensissima pièce, scarna e essenziale, Fate cattive, rappresentata il 21 e 22 aprile presso la Sala Chaplin di Catania, con ambientazione nel secondo dopoguerra e due figure femminili agli antipodi, che diverranno unite nella ricerca di una via di uscita attraverso una pur differente ribellione alle ferite dell’esistenza.

Protagonista è una casa, anzi un malmesso soggiorno di una dimora, con un divano e un tavolo da pranzo, luogo elettivo, quest’ultimo, di accudimento. Gli eventi reali sono già tutti intercorsi, come si scoprirà al termine della rappresentazione, che è come capovolta nelle sequenze temporali (dopo/prima) e quanto ai piani (irreale/reale). Amanda, sempre in sottoveste e vestaglia, vitale e creativa, è come un magma incandescente e con il suo intenso profumo tiene avvinto il marito scultore Fede, prima e poi la governante Sofia, provinciale e bigotta in fuga da una famiglia d’origine povera in ogni senso, alla ricerca di un centro e di affetto da dare e ricevere, ma interiormente combattuta e restia al cambiamento. E così, fra le pungenti erbe medicinali e la dedizione alle presenze occulte (fra le quali quella del figlioletto Pietro, morto non si sa quando, né come) Amanda (ove “nomen è omen”, da amare) ammalia Sofia, che perde alfine l’autocontrollo, cede e si punisce, generando l’evento innominato, l’irreparabile. La neve, altra presenza immota, bianca, sta in un “fuori” evocato, a volte desiderato, ma che pare non esistere. I biscotti appena sfornati di Fede, che nessuno mangerà mai, ma che fungono da madeleine proustiana, sono un altro elemento che ritorna, come la bicicletta dello stesso Fede che un brutto giorno scompare. Solitudine, polvere (che non si può cancellare) inverno continuo e perenne e un tempo immobile, sempre identico a se stesso, che non ci vede neanche e procede nonostante noi, scorrendo al di fuori. Gran bel testo, denso e significante, questo di Anne Riitta Ciccone, già premio “IDI” (Istituto Dramma Italiano) per Autori Nuovi, già portato in scena nel 98’ con Laura Lattuada e Isabella Russinova, con la regia di Walter Manfrè e le musiche di scena di Ottavio Sbragia, reso in modo eccellente, senza sbavatura alcuna, da ognuno degli artisti – ove Alice Ferlito è Amanda, Elisa Franco Sofia e Francesco Bernava Fede – con musiche originali efficaci di Letizia Contadino e arrangiamenti di Vito Astone e con illuminazione di scena sempre consona.

Altra prova riuscita anche registicamente, in presenza di uno script che avrebbe potuto essere debordante nella sua maestosità, ma che Elisa Franco ha saputo ben dirigere. Il 13 e 14 maggio La Carrozza degli Artisti attende il suo pubblico per una nuova rappresentazione E adesso parlo io, già portata in scena presso il castello di Montalbano nel giugno 2015, opera dal registro particolarmente intimista, fatta di intensi monologhi di artiste ed eroine; personalmente sono in attesa di scoprire la resa registica della pièce, che mi coinvolge direttamente, essendone l’autrice.

Tosi Siragusa

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