“La grande scommessa”, ovvero il sogno americano infranto

“La grande scommessa”, ovvero il sogno americano infranto

Lavinia Consolato

“La grande scommessa”, ovvero il sogno americano infranto

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sabato 09 Gennaio 2016 - 23:05

Basato sul libro di Michael Lewis “The Big Short, il grande scoperto”, la storia vera di un gruppo di banchieri ed investitori che previdero la bancarotta di Wall Street, che provocò la crisi nel 2008, facendo una scommessa contro le banche

Il vero Dio degli Stati Uniti d’America, non è il dio della Bibbia, ma il dollaro. Gli americani amano le armi, gli hamburger, Hollywood, le bionde stupide, le belle macchine, il surf, ma sopra ogni cosa il dollaro, i soldi facili. Saranno stereotipi? No. Costruirebbero un tempio al Dio Dollaro, anzi, lo hanno già fatto, è Las Vegas. Inoltre hanno un sogno: avere una casa, magari una villa, con la piscina e vicino al mare. Per comprare una casa fanno un mutuo, spesso a tasso variabile, ma ciò che non sanno, è che le banche ci speculano sopra, con l’unico scopo di frodare i clienti, che si ritrovano dopo poco nell’impossibilità di pagare.

Quindi, quando tutte le banche del mondo si sentono al sicuro perché Wall Street si sente al sicuro, cosa importa se un manager con la sindrome di Asperger, Michael Burry (Christian Bale), nel 2005, scopre che nel giro di tre anni il mercato crollerà? Michael lancia un sassolino, che verrà raccolto da un banchiere di Wall Street, Jared Vennett (Ryan Gosling), che coinvolge nella scommessa un altro banchiere, Mark Baum (Steve Carell), e il suo team. Altri due giovani entrano a far parte del giro, ma chiedono il sostegno di un ex broker, Ben Rickert (Brad Pitt), ritiratosi perché disgustato dal mondo di Wall Street, e a ragione.

Tutte le grandi banche ridono loro dietro, recitando il mantra: “Il mercato immobiliare è solido come una roccia!”. Tuttavia il gruppo non desiste, sono sicuri di vincere la scommessa. “Lo senti, che cos’è? È profumo di soldi!”, dice estasiato Vennett. Tutto questo sembra molto “fico”, ma quando nel 2008 loro vinsero, milioni di persone persero la casa e tutti i loro soldi, e la crisi rimbalzò nel resto del mondo. Pensate forse che qualche banchiere che aveva frodato e mangiato i risparmi della povera gente sia finito in galera? Ricorda vagamente lo scandalo della Banca Etruria, che nessuno forse porterà al cinema. Ripeto, non c’è niente di “fico” e la vera domanda è: il sentimento del regista è di sdegno, ovvero di fare un film di inchiesta, o di ammirazione per degli uomini che sono diventati miliardari salvandosi? Entrambi, ma punterei più sulla seconda opzione: gli americani ammirano questo tipo di uomini, “forse penserete che sia immorale, ma non devo starvi simpatico”, conclude Vennett, che fa anche da voce narrante.

Il film è tutto basato su una lingua di numeri su numeri, che noi comuni mortali che abbiamo i piedi per terra non possiamo capire, ma solo chi è abituato a stare almeno al ventesimo piano dei grattacieli parla correntemente. Lo stile è leggero e c’è un buon ritmo, con elementi di documentarismo, ma un cast stellare non sempre riesce a salvare un film quando è eccessivamente verboso. Quando un regista con relativamente poca esperienza come Adam McKay ha la presunzione di scrivere anche la sceneggiatura, non si può pretendere altro: la nostra testa è già stracolma nel primo tempo, il secondo tempo è stremante e noioso.

Consiglio la visione di “The Wolf of Wall Street” di Scorsese, con Leonardo Di Caprio, anch’essa una storia vera.

Voto: 5/10.

Lavinia Consolato

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