Cinema: La vita possibile, Questi giorni, L’effetto acquatico

Cinema: La vita possibile, Questi giorni, L’effetto acquatico

Tosi Siragusa

Cinema: La vita possibile, Questi giorni, L’effetto acquatico

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venerdì 21 Ottobre 2016 - 09:03

Sulla rotta della decima musa: opere di respiro più o meno universale dove le location, pur costituendo perno per le storie, non si rivelano insuperabili recinti. Impressioni a cura di Tosi Siragusa

Le riflessioni qui riportate traggono linfa da un periodo di frequentazione delle sale cinematografiche messinesi, seguito da una più o meno consapevole sospensione del giudizio, per far sedimentare quanto visto. E così quella “ricostruzione di una donna”, titolo che potrebbe validamente sostituire quello La vita possibile di Ivano De Matteo, di intitolazione vaga e poco centrata – come del resto è apparso il lungometraggio, di discreta resa attoriale, ma perso nei meandri di un focus troppo allargato, con variegate tematiche di contorno che restano solo accennate – tratta della fuga di Anna (una tormentata Margherita Buy) da un marito violento, con il giovane adolescente Valerio (un valente Andrea Pittorino), con scardinamento dall’ambiente romano per il quartiere multietnico torinese di Borgo Dora. La conseguente lenta rinascita parte dalla solidarietà di Carla (una vivace Valeria Golino) e forse da un nuovo amore con il ristoratore francese apparentemente burbero e dal pesante passato (ben reso da Bruno Todeschini). L’opera, pur affrontando la questione del lato oscuro (maschile per lo più) che nei rapporti di coppia finisce con il generare troppo spesso anche ginecidio – ben diffusa e generalizzata anche fuori dai confini nazionali – non pare di largo respiro, ma come ristretta negli ambiti localistici italiani.

Si farà cenno di seguito ad un altro film, passato in concorso a Venezia, Questi giorni di Giuseppe Piccioni, racconto di formazione e storia di un viaggio di un gruppo di ragazze di provincia a Belgrado, ove una di loro è attesa per iniziare un lavoro di cameriera in un elegante hotel cittadino. Sembra di essere al cospetto più che di una compiuta sceneggiatura, di un canovaccio, con una scrittura libera di intraprendere fluide direzioni. L’opera filmica è incentrata su quell’attimo, irripetibile, carico di aspettative, in cui il futuro appare promettere il meglio e l’illusione di eternità è ancora intatta; durante il viaggio, però, cambierà tutto. Film di stati d’animo, di ripetuti quadri psicologici, di stupori che incantano, timori paralizzanti, di slanci, scelte istintuali, di fermento vitale e tormenti. Il motore del gruppo è Liliana (un’intensa Maria Roverati) protesa alla cura delle altre, Caterina (una volitiva Marta Gastini) maschera il bisogno di tenerezza sotto una scorza di autosufficienza, Anna (Caterina Le Caselle) è poi apparentemente la più sprovveduta, capricciosa, eccessiva e infantile e Angela (Laura Adriani) infine è la più disincantata. Adria, resa da Margherita Buy, è la madre immatura di Liliana, presa da sé e dal proprio disordine sentimentale e economico, ma che sarà costretta a crescere. Opera lieve e profonda ove le figure maschili, a partire da Filippo Timi, l’impacciato professore, sono sicuramente secondarie e i personaggi femminili potrebbero incarnare qualunque giovane donna del mondo.

Anche L’effetto acquatico, opera postuma di Solveig Anspach, che ha ricevuto un premio collaterale all’ultimo festival di Cannes, pur non potendo concepirsi al di fuori della cornice delle spendide location islandesi, trascende l’ambientazione localistica e non costituisce sicuramente solo una trovata cineturistica. Privo di qualsivoglia rimando politico–sociale (se si eccettua un aggancio alla crisi mediorentale) il film mette in scena il travaglio del goffo e naif Samir (Samir Guesma) che presta attività cantieristica sulle gru, alle prese con la sconfinata passione per Agathe (Florence Loiret–Caille) impiegata nella piscina comunale di Montreuil, ove il gruista inizia a prendere lezioni di nuoto; in una magica notte sembrerebbero nascere ottimi auspici amorosi, interrotti però dalla fuga dell’istruttrice a Reykjavik, per un congresso internazionale al quale anche Samir, a sorpresa, prende parte. Filmografia gradevolmente strampalata, quella della Anspach, purtroppo ormai completa con questo lungometraggio lieve e pieno di grazia, con protagonisti spiazzanti e poetici, condotti in un gioco amoroso psicologicamente indagato, che è orchestrato intorno all’elemento acquatico protetto che è una piscina, e ai paesaggi mozzafiato islandesi, ove la comunità indigena pare ancora genuina. Il parallelismo fra le tre opere cinematografiche vuole evidenziare la diversa, più o meno incisiva, capacità di una storia di assurgere a valenza universale, con differenti esiti che incidono in modo sostanziale sul valore filmico.

Tosi Siragusa

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