Operazione "Senza Tregua", stangata sul nascere la nuova mafia tortoriciana. VIDEO e FOTO

Operazione “Senza Tregua”, stangata sul nascere la nuova mafia tortoriciana. VIDEO e FOTO

Operazione “Senza Tregua”, stangata sul nascere la nuova mafia tortoriciana. VIDEO e FOTO

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lunedì 30 Maggio 2016 - 11:02

I dettagli dell'inchiesta coordinata dal pool di magistrati della DDA di Messina, composto dai Sostituti Procuratori Vito Di Giorgio, Angelo Cavallo e Fabrizio Monaco, e dai poliziotti del Commissariato di Capo d’Orlando diretti dal Commissario Giuliano Bruno

Scatta a pochi giorni di distanza dall’attentato al Presidente dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, l’operazione Senza Tregua che, stamani, ha stangato la rinascita del clan mafioso dei Bontempo Scavo, a Tortorici. Ventitré le persone arrestate, tra cui sedici finite direttamente in carcere e sette ai domiciliari, con le accuse di associazione a delinquere, estorsione, traffico e spaccio di droga nella zona tirrenica e nebroidea. Tra di loro spicca anche il nome di Antonio Foraci, detto “u calabrisi”, nuovo boss del clan mafioso di Tortorici, già esponente attivissimo tra la famiglia dei Bontempo Scavo. Le indagini, coordinate dai poliziotti del Commissariato di Capo d’Orlando, scattarono nell’aprile 2013 quando quattro giovani tortoriciani furono arrestati in flagranza per un tentativo di estorsione ai danni di un noto nightclub della zona. Da quelle prime intercettazioni gli inquirenti riuscirono subito a capire che, a Tortorici, si stava facendo largo un nuovo boss, Foraci appunto. Le successive indagini confermarono l’esistenza di una vera e propria struttura mafiosa, pienamente operativa nel campo delle estorsione e del traffico di droga nel periodo tra settembre 2013 e dicembre 2014, in stretti rapporti sia con la potente famiglia della ‘ndrangheta calabrese dei Nirta – Strangio sia con la mafia catanese.

COMUNICAZIONI DAL CARCERE. Arrestato durante l’operazione Rinascita, attivissimo nella famiglia dei Bontempo Scavo, Antonio Foraci riuscì in pochissimo tempo a prendere le redini della mafia nebroidea e darle nuovo impulso. Grazie ai rapporti strettissimi con Massimo Salvatore Rocchetta e con Giuseppe Sinagra (detto “finestra”), dopo la scarcerazione, il nuovo boss divenne il punto di riferimento delle attività estorsive e di spaccio dell’intera zona, dall’approvvigionamento alla vendita, alle richieste di pizzo ad imprenditori orlandini e dei dintorni. Foraci riusciva a comunicare ed a saldare i legami con Rocchetta nonostante questo, ai tempi, si trovasse rinchiuso nel carcere di Gazzi. Lo stesso boss venne intercettato proprio mentre cercava di inviare una lettera a Rocchetta in cui si chiedeva un intervento di mediazione con la mafia calabrese. A Gazzi, infatti, era rinchiuso anche Paolo Nirta, esponente della potente famiglia della ‘ndrangheta calabrese dei Nirta – Strangio. La questione riguardava una ditta di Sant’Agata di Militello che aveva ottenuto appalti sia in Calabria che in Sicilia e che, adesso, avrebbe dovuto iniziare a pagare il pizzo.

LE ESTORSIONI E LA DROGA. La richiesta del “pizzo” doveva seguire un iter ben preciso. Antonio Foraci dava precise istruzioni al figlio Cristian ed al fedelissimo Giovanni Montagno Bozzone. La raccomandazione era quella di far presente alle vittime che il soggetto a cui fare riferimento per la raccolta soldi era lui, il boss. Ed è proprio in questo ambiente che Cristian vuol far notare al padre la sua “bravura”, talvolta vantandosi al telefono per aver costretto un commerciante a pagare 1000 euro, talvolta ricevendo dal padre gli ordini “gli devi dire: fino a stasera ho tempo, poi non ne ho più”, come si legge in un’intercettazione. Le vittime erano costrette a pagare sia in denaro sia in posti di lavoro per i famigliari dell’associazione.

Un’altra grande attività cui era dedito il clan di Foraci riguardava il traffico e lo spaccio di droga. Gli stretti legami con la ‘ndranghta e la mafia catanese, infatti, permettevano all’associazione grandi approvvigionamenti di sostanze stupefacenti, talvolta anche con il “passaggio” da Messina, in particolare attraverso il contatto con il clan di Mangialupi. La droga, soprattutto cocaina, “viaggiava” dalla Calabria fino al centro nebroideo per poi finire nelle piazze di spaccio di tutta la zona tirrenica. A Capo d’Orlando, in particolare, operava l’associazione capeggiata da Gaetano Calogero Cambria Zurro, con gli affiliati Giuseppina Chiaia e Simone Ingrillì, che reperiva droga attraverso il palermitano Vincenzo Corda.

LE DICHIARAZIONI. “Da questa indagine è emerso come la mafia dei nebrodi non è più una mafia divisa all’interno, bensì una mafia forte, legittimata ad intrattenere rapporti diretti con quella calabrese e catanese. Soprattutto in un momento storico in cui la mafia barcellonese si è indebolita”, è stato il commento del Procuratore Capo Guido Lo Forte. L’inchiesta è stata coordinata dal pool di magistrati della DDA di Messina, composto dai Sostituti Procuratori Vito Di Giorgio, Angelo Cavallo e Fabrizio Monaco, e dai poliziotti del Commissariato di Capo d’Orlando diretti dal Commissario Giuliano Bruno. A firmare le ordinanze, il Gip Salvatore Mastroeni. “Un’operazione che, ancora una volta, colpisce nel cuore un territorio sensibile come quello nebroideo e che conferma la presenza sempre costante delle forze di polizia”, ha concluso il Questore Giuseppe Cucchiara. (Veronica Crocitti)

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