American Paths. Nuovi classici made in USA

American Paths. Nuovi classici made in USA

giovanni francio

American Paths. Nuovi classici made in USA

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mercoledì 15 Febbraio 2017 - 07:23

Uno splendido e gradito omaggio a Philip Glass per i suoi 80 anni da parte del celebre pianista Emanuele Arciuli

Nell’ambito della stagione concertistica della Filarmonica Laudamo, domenica abbiamo assistito al terzo ed ultimo concerto del pianista Emanuele Arciuli per il progetto American Paths – Passeggiate nella musica americana, iniziato appunto nel 2015. Il concerto ha voluto rendere omaggio a Philip Glass per i suoi 80 anni, del quale Arciuli ha interpretato quattro del primo ciclo di dieci studi che il musicista americano ha composto per essere eseguiti da lui stesso in pubblico: nell’ordine i nn. 8, 6, 4 e 2. Sono stati inoltre eseguiti altri brani di autori americani, più o meno inquadrabili nel filone del Minimalismo, corrente musicale nata alla fine del XX secolo, della quale proprio Philip Glass ne è considerato il padre.

Con il termine Minimalismo si vuole descrivere la musica di un gruppo di compositori della fine del XX secolo, i quali per reazione alla musica dodecafonica e seriale della scuola di Vienna (Schoenberg, Berg, Webern), hanno perseguito un ritorno alla melodia, alla tonalità. Tale intento è stato raggiunto attraverso l’utilizzo di brevi cellule musicali, sulle quali sviluppare l’intero brano, o per sovrapposizione o per variazione e modulazione dello stesso tema. Si è così ottenuta una musica molto più accessibile all’ascolto, rispetto alla complicata e dissonante dodecafonia, inascoltabile per orecchie non particolarmente educate e avvezze, ma anche molto più semplice, ripetitiva fino all’ossessione, che a volte rischia di risultare un po' noiosa, sicuramente più adatta ad accompagnare immagini visive (quasi tutti i minimalisti, ad iniziare proprio da Glass, sono formidabili compositori di colonne sonore per film), in ogni caso infinitamente più semplice e meno “colta” rispetto alla musica che ha caratterizzato la prima metà del Novecento. L’affermazione pertanto di Emanuele Arciuli che abbiamo letto nell’opuscolo del programma di sala, secondo cui “le difficoltà di certi autori (penso a Ives, Carter, Feldman, per fare solo alcuni esempi) sono ancora molto indigeste per il pubblico della musica colta, e vanno proposte con attenzione” non è del tutto condivisibile, in quanto questo genere musicale è caso mai troppo facilmente digeribile rispetto a – quello sì indigesto – seriale e dodecafonico, anch’esso infatti di rara esecuzione. I brani eseguiti di Philip Glass presentano lo stile inconfondibile del compositore americano, temi accompagnati da accordi cadenzati e ritmati, ove l’accompagnamento si fa esso stesso tema, trascinanti e coinvolgenti, melodie intriganti, ma spesso ripetute quasi ossessivamente. Anche i brani degli altri autori interpretati presentano più o meno le stesse caratteristiche: “China Gates” di John Adams; “Navajo Vocable n. 9”, del musicista di origine Navajo Conor Chee; “First Ballade” di Judd Greenstein, il cui titolo, a dire Arciuli, si ispira alla prima ballata di Chopin, anche se i due brani non hanno proprio nulla in comune. Diverso invece l’interessante brano di Talib Rasul Hakim, musicista americano contemporaneo – “Sound Gone”, pezzo di netta impronta jazzistica, che alterna momenti melodici ad altri ove prevale il ritmo e la percussione, in cui il pianista è chiamato ad un uso poco ortodosso del pianoforte, non limitandosi ai tasti, ma facendo vibrare direttamente le corde, e percuotendo perfino il legno dello strumento.

Il pianista ha concluso il concerto con la “Grand Fantasy on Porgy and Bess – Finale”, una fantasia sui temi della celebre opera di George Gershwin composta da Earl Wild. Eccellente l’interpretazione di Emanuele Arciuli, padronissimo di questo genere di repertorio, perfetto nella scelta dei tempi, un’esecuzione sempre precisa ed equilibrata. Due bis, fra cui una delicatissimo gioiellino di Bill Evans.

Giovanni Franciò

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