Teatro greco di Siracusa: Eschilo, Ovadia, Incudine e noi: le Supplici

Teatro greco di Siracusa: Eschilo, Ovadia, Incudine e noi: le Supplici

Alessandra Serio

Teatro greco di Siracusa: Eschilo, Ovadia, Incudine e noi: le Supplici

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sabato 06 Giugno 2015 - 09:29

Il riadattamento musicale fortemente siculo del registra e del cantautore ennese entusiasmano il pubblico della cinquantunesima edizione degli spettacoli classici.

I puristi storcono il naso? Non si direbbe, stando al tributo di applausi e di presenze. L’adattamento sicilian-popolare de Le Supplici di Eschilo da parte di Moni Ovadia e Mario Incudine, pezzo forte del cinquantunesimo ciclo di spettacoli classici dell’Inda di Siracusa, piace ed entusiasma il pubblico di Siracusa. Il regista e il cantautore ennese hanno trasformato la proto tragedia di Eschilo in una cantata sicula in piena regola, utilizzando il dialetto isolano e l’andamento delle strofe folk, reintroducendo di volta in volta il verso greco originario.

Il risultato non è un collage multiforme ma una messa in scena che restituisce pathos al testo corale, emozionando ed entusiasmando lo spettatore di Siracusa che così riesce apprezzare una delle tragedie oggi più scartate della classicità. Il regista e il cantautore si sono ritagliati una parte importante nello spettacolo, ed anche questa pare una scelta indovinata: la loro presenza scenica e vocale è parte fondamentale dell’ottima performance di ogni componente della compagnìa.

Insomma, il musical siculo de Le Supplici è imperdibile perché proprio questo riadattamento, solo apparentemente semplice ed ammiccante nel rispetto del testo greco riesce a far emergere e permette di apprezzare tutti quelli che sono i temi morali e politici della tragedia greca e di questo testo in particolare: l'idea greca della giustizia, la forza dell’amore, la libertà della donna contro la violenza del maschio, l’accoglienza e il dramma della migrazione, la radice femminile dell'accoglienza che fiorisce nel "maschile" della democrazia.

Impossibile non pensare ai migranti che oggi chiedono asilo alle nostre coste salvifiche, all’unicità e continuità della storia di questo nostro Mediterraneo, oggi come tremila anni fa testimone delle stesse sventure e patimenti. Impossibile non guardare con gli occhi delle Supplici, donne cresciute libere costrette a scappare e supplicare "a testa bassa e cun lentu parrari" per conservare la libertà, e che per questo fanno la stessa esperienza che le donne di oggi conoscono, con la singolarità e la perspicacia dello sguardo che le donne hanno, cioè la decadenza di un’epoca che sta dimenticando il valore della libertà e imparando nuovamente quello della violenza.

(Alessandra Serio)

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