Viaggio, tra arte e cultura, alla scoperta delle radici di Castanea

Viaggio, tra arte e cultura, alla scoperta delle radici di Castanea

Viaggio, tra arte e cultura, alla scoperta delle radici di Castanea

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giovedì 21 Settembre 2017 - 09:51

Da un lettore di Tempostretto, Giovanni Quartarone, riceviamo e pubblichiamo il racconto di una visita guidata a Castanea che si è tramutata in vero e proprio viaggio alla scoperta delle radici e delle tradizioni.

Nella calda mattinata di domenica 17 settembre, mentre Messina celebrava due eventi di spessore, Castanea per tutta la giornata fu percorsa, in lungo e in largo, da una schiera di appassionati, con a seguito quattro bambini di appena un anno, che hanno risposto all’invito della “Giovanna d’Arco” per rivivere, e mettere in luce, i segni di un tempo lontano che restano impregnati sia nella memoria che nelle testimonianze sparse per l’antico borgo. Non si è trattata di una semplice visita per i monumenti di riguardo ma di un viaggio nel tempo alla riscoperta delle radici di un popolo, di un territorio. I tre, forgiati nella fucina dell’associazione, nel saluto di benvenuto hanno evidenziato che la giornata sarebbe stata all’insegna di un “sapere” coltivato in un trentennio, parallelo alla crescita della rinomata manifestazione del “Natale con Gioia a Castanea”; difatti sin dal 1991 sono state molteplici le iniziative sbocciate dentro le mura dell’ameno parco Costarelli, che la famiglia Arrigo continua a concedere, e fra queste occupò un ruolo preminente l’interesse per la storia, l’arte e la cultura. Un grande riconoscimento va al caro Alessandro Costa che instillò nella neonata associazione la passione per la tutela e fruizione dei beni artistici – monumentali. Durante la presentazione, avvalendosi della fonte che attesta la presenza del villaggio nel XIII secolo, si è evidenziato che alcuni toponimi riportano a epoche dell’età classica o del greco tardo antico (Castania, Calamona,Policara,Mella, ecc. ecc.) o arabo (Frischia, Cicarra, Musarra, ecc.) e si intravedono tracce di epoche molto antiche in diverse costruzioni.

Alle 10.30 ha avuto inizio l’itinerario, primo fra tutti, nella piazza Umberto, si è illustrato l’antico palazzo del Signore di Castanea, a seguire il palazzetto Gaudioso, e imboccata la via IV Novembre una sosta presso un luogo della memoria, la sala G.Verdi con il bellissimo palazzo settecentesco, con portali e finestre bugnati, appartenente alla famiglia Giaimo. La sosta successiva fu alla chiesa della Visitazione che ospita il pregevole gruppo marmoreo del Calamech, a seguire il gruppo si è snodato per le viuzze dell’antico quartiere di Pace per rilevare il luogo dove rimaneva incustodito, fino a qualche decennio addietro, un blocco monolitico con scolpite tre croci patente. La sosta successiva è stata davanti al monumento ai Caduti dove insistono i muri di fondazione dell’antica chiesa di Loreto: culto mariano che si rileva in altre chiese sparse per la campagna che riconducono alla iconografia delle Madonne nere. Pochi metri più avanti, nel bel mezzo dei due mari, ci si è soffermati sul luogo in cui, dal mese di aprile e maggio, stazionano gli appassionati degli uccelli; infatti lo Stretto di Messina è uno dei tre valichi al mondo attraversato dai grandi flussi migratori, qui non si è tralasciato di porre una grande attenzione alla flora, alle specie protette, alla macchia mediterranea e risalendo fin sul monte, definito Pace, ci si è fermati “a Ugghia”, dove è visibile uno strano “monumento” (tronco piramidale)che segna l’unico punto di riferimento, per il Sud Italia, per il calcolo cartografico. Grazie a questo nel 1875 fu misurato il perimetro della Sicilia. L’itinerario prosegue per una mulattiera che riconduce brevemente nel centro abitato e, passando “Sutta i mura Monici”, si è mostrato un reperto quattrocentesco rinvenuto durante uno scavo, sicuramente appartenente all’antica chiesa di san Nicolò; il percorso è proseguito in direzione dei due palazzetti quattrocenteschi di via Piazzicella e, solcando le sponde del torrente, la parte sommitale del Giudeo, si sono rilevati i confini che spaccarono per oltre quattro secoli il paese, compresi i naturali, dando adito a continue lotte e soprusi esercitate dai Cavalieri di Malta. Qui insistono murate su due civili abitazioni dei fregi, il primo una croce con impresso il monogramma IHS e con al centro incastonata la già vista croce patente e in quello più avanti un sole a 16 raggi con il monogramma al centro.

Ultima tappa della mattinata è stata la chiesa del Rosario, ricostruita dopo il terremoto del 1908 che conserva al suo interno una pregevole pala in marmo attribuita al Calamech, una tela di Antonio Catalano il Giovane, due statue cinquecentesche e altre opere di un certo interesse. Nel pomeriggio prima tappa il museo etno-antropologico “I ferri du misteri”, che ospitava la famosa farmacia Lentini, rinomata per il vasellame in ceramica esposto al Museo di Messina.

Dopo un’attenta visita per i vari ambienti ben ordinati ci si è diretti verso la cinquecentesca chiesa di san Giovanni. Più di un’ora è durata la visita in questa chiesa, con la lettura dei simboli visibili nei portali del prospetto principale e nei capitelli in pietra (croce patente, spirale, fiore, giglio francese, testa di ariete ecc.ecc.) per poi accedere e ammirare pregevoli opere di famosi pittori e scultori del Seicento e del Settecento. Lasciata la chiesa e inoltrandosi per via Trieste, dopo una brevissima sosta presso l’intatta bottega di dolci, con mobilia e arredi dei primi del Novecento e aver indicato l’abitazione del Principe Capece Minutolo di Collereale, ultimo dei Gattopardi, si è entrati in un vecchio cortile “u purticato” e qui, su un architrave in pietra ecco ricorrere la presentissima croce patente. Prima di risalire le antiche scale del Franco ,dove insistono due fregi settecenteschi, la sosta è stata in una grotta, inglobata in una vecchia stalla, adibita un secolo fa ad abitazione, uno studioso non esclude possa essere una tomba sicana (ne esistono altre due in prossimità). Risalendo per la parte sommitale del paese il nutrito gruppo ha oltrepassato il possente cancello della villa Rinciari ex Sanderson e si è diretto presso il “Guglielmone”, il sedile dove l’Imperatore Guglielmo II soleva trascorrere i pomeriggi e ammirare gli incantevoli e sempre nuovi tramonti.

In questo clima di quiete si è posto l’accento sull’enorme potenziale di sviluppo che offre questo fazzoletto di terra della bellissima Sicilia, uno sviluppo che passa per la natura, per l’arte e la tradizione. Difatti già da anni dei giovani guardano alla campagna, al nostro vicino passato agro-pastorale, con occhio nuovo, cimentandosi nelle pratiche di un’agricoltura biologico-biodinamica, che se ben collegata può essere offerta sulle nostre tavole per un turismo diverso, genuino, naturale, aprendo le porte all’ home food, il tutto abbinato a un turismo stagionale legato al passaggio migratorio, combinato con un turismo religioso offerto sia dai beni artistici che dalle tradizioni ancora ben radicate e vive. Entusiasmato, il gruppo lascia la villa e si dirige verso la chiesa di santa Caterina, un gioiello di architettura, scampato al disastro, uno scrigno di opere d’arte. Fuori è buio, il gruppo è stremato, si congeda e si da appuntamento per una prossima escursione fuori le mura del villaggio. Uno studioso, Giampaolo Chillè, è stato con noi tutta la giornata e, fuori programma, ha potuto visionare due statue acefale non esposte. Sospinti dal vento intuitivo che soffia dentro le mura della Giovanna d’Arco, parallelamente alle iniziative promosse dalla stessa, si deve a Graziella Arena l’individuazione dell’artista che realizzò queste statue, lo scultore Antonello Freri, il medesimo vento soffiò qualche anno addietro e, dopo cinque secoli, mi fece notare che sugli stemmi posti sul portale della chiesa di san Giovanni è ben impressa la scritta: “Gran mercè a Messina” (unico reperto superstite dell’antico privilegio). Durante la visita quel vento è soffiato su Giovanna Oliva, sta a lei, in presenza di oltre cinquanta testimoni leggere su una tela, dove molti esperti di storia dell’arte vi avevano posato l’occhio, e qualcuno aveva anche azzardato l’ipotesi che l’opera fosse del tardo Settecento, leggere nitidamente sulla stessa: Gaspare Camarda pingebat! Pertanto oggi può ascriversi, nell’elenco delle opere di detto pittore, questa tela raffigurante un vescovo che si conserva a Castanea assieme alla già conosciuta “Immacolata”.

Giovanni Quartarone

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