L’instabilità cronica: la vita breve dei governi Italiani

L’instabilità cronica: la vita breve dei governi Italiani

Giuseppe Maio

L’instabilità cronica: la vita breve dei governi Italiani

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domenica 31 Gennaio 2016 - 07:50

Governi comunali,regionali e nazionali sembrano essere tutti caratterizzati da un minimo comune denominatore: la scarsa longevità che crea di conseguenza una forte instabilità politica.

Dal locale, al nazionale, passando per il regionale, lo si sa, le legislature italiane non durano molto. Per lo meno, raramente durano quanto dovrebbero. L’estate scorsa, a Barcellona P.G si sono tenute nuove elezioni comunali che hanno visto trionfare Roberto Materia, dopo la sfiducia al sindaco Collica, eletta meno di due anni prima. Sempre l’estate scorsa, Rosario Crocetta, presidente della regione, si era autosospeso dal suo ruolo di governatore della Sicilia ad oltre un anno dalla fine del suo mandato, in seguito alla questione delle intercettazioni. Le sue dimissioni erano tutt’altro che improbabili. A livello nazionale, dopo le ultime elezioni nel 2013, abbiamo assistito, in tre anni, a un mancato Governo Bersani, a un brevissimo governo Letta, per arrivare all’attuale governo Renzi. E quella odierna non è l’età dell’oro dell’instabilità politica in Italia: durante la prima repubblica, dal 1945 al 1994, i governi venivano eletti per poi crollare con una frequenza quasi annua. L’Italia non a caso viene considerata un caso classico di instabilita’ politica da parecchi politologi Italiani e stranieri.

In molti si sono espressi sulle possibili cause di questa instabilità nel bel paese. Giovanni Sartori (1990), analizzando lo scenario italiano della prima repubblica, dall’immediato dopo guerra fino agli anni novanta, parla ad esempio di sistemi multipartito polarizzati. Tali sistemi sono caratterizzati da: 1) almeno cinque partiti (nel caso Italiano molti più di cinque), 2) da uno o più partiti anti sistema, partiti volti cioè allo stravolgimento profondo dell’intero sistama politico (MSI e PCI nell’Italia del dopo guerra), e 3) da un forte e generale disaccordo che accumuna le forze politiche in gioco. Questi sistemi di partito vedono spesso il predominio di partiti di centro (la DC dal dopoguerra agli anni 90) e le opposizioni si trovano dunque ai poli estremi dello spettro politico, a destra o a sinistra, creando tensioni centrifughe spesso destabilizzanti. Sartori afferma che se le opposizioni fossero confluite verso il centro in maniera centripeda, l’instabilità sarebbe stata nettamente inferiore. Questo è il caso di sistemi bipartito come quelli anglosassoni in cu il partito al potere occupa uno dei due poli e le opposizioni convergono consequentemente verso il centro, creando stabilità, piuttosto che instabilità.

L’applicabilità di questa teoria alla seconda repubblica e al contemporaneo clima politico italiano ha parecchie limitazioni. La pluralità del sistema persiste, ma i partiti anti-sistema non sono più presenti come lo erano nel dopoguerra: comunisti e fascisti costituiscono un’entità politica ormai trascurabile, avendo di fatto migrato verso il centro. Cio’ che tuttavia persiste nella seconda repubblica e costituisce un fattore politicamente destabilizante è sicuramente il terzo punto della teoria di Sartori: un forte e profondo disaccordo tra gli esponenti della classe politica. Sartori definisce questo disaccordo “di principio” (on principle), piuttosto che” su questione singola” (on issue). Quello di cui parla Sartori è dunque un forte ed estremo senso di disaccordo. Il disaccordo caratterizzante la classe politica a sua volta non è altro che frutto di divisioni e fratture profonde all’interno della società Italiana. Almond (1956) afferma che l’Italia è costituita da tre sottogruppi, quello cattolico pre-industriale, quello della classe media e dell’alta-borghesia e, per ultimo, quello della classe operaia. Questi tre gruppi hanno faticato a trovare un terreno comune: un’assimilazione completa tra essi non si è mai verificata. Come conseguenza di cio’, il senso comunitario viene a mancare e l’individualismo e la cura dei propri interessi tendono a costituire il perno attorno al quale ruota una società così composta.

Questo concetto di frammentazione, che Almond formula negli anni 50 e che cositituisce un punto cruciale della teoria di Sartori, appare oggi assai attuale. In una società come quella italiana, fratture e divisioni profonde si possono osservare tra i partiti, ma anche in varie istituzioni come come ad esempio nei sindacati e nelle universita’. Riguardo quest’ultime, in italia ci sono le università rosse tipiche della classe operia in Emilia e in Toscana; vi sono le università della chiesa cattolica: San Raffaele, La Cattolica, Campus Bio-Medico; si possono infine osseravere sia l’università dell’alta finanza, Luigi Bocconi, che quella di confindustria, LUISS Guido Carli, espressioni della classe media e dell’alta borghesia. La frammentazione e il disaccordo profondo rappresentano solo alcune delle cause di una instabilità politica cronica come quella Italiana. Altri fattori come mafia o corruzione non sono stati tenuti in considerazione in questo articolo, in quanto appaiono legati a doppio filo alla mancanza di un senso comunitario e ad un dividualismo sfrenato che derivano direttamente dalle sovra citate divisioni profonde.

L’esempio delle università dimostra una frammentazione persistente tra i diversi frangenti della società italiana, la cui ricomposizione sarebbe auspicabile in un periodo di forte incertezza come il nostro. (Giuseppe Maio- @pepmaio)

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