I cantieri aperti a Scaletta Zanclea. Le speranze e le paure della gente

I cantieri aperti a Scaletta Zanclea. Le speranze e le paure della gente

Giusy Briguglio

I cantieri aperti a Scaletta Zanclea. Le speranze e le paure della gente

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mercoledì 01 Ottobre 2014 - 06:08

Oggi pomeriggio alle 17 si terrà una Messa in ricordo delle vittime e poi si proseguirà in corteo nei luoghi della tragedia. LE FOTO

Sono passati già cinque anni da quel primo ottobre 2009 in cui a Scaletta Zanclea e Comuni limitrofi persero la vita 37 persone a causa di un’alluvione “killer” che in breve tempo sconvolse una comunità. Pochi secondi perché accadesse tutto, cinque anni per tentare di ricominciare, ma senza dimenticare. Oggi pomeriggio a Scaletta alle 17 si terrà una Messa in ricordo delle vittime e poi si proseguirà in corteo nei luoghi della tragedia.

Nel territorio colpito dall’alluvione insistono ancora oggi i lavori per la ricostruzione e la riqualificazione dello stato dei luoghi. Nonostante siano passati cinque anni, gli interventi non sono ancora stati ultimati. Il grosso, per la verità, è stato fatto, ma per gli abitanti è passato comunque troppo tempo e chissà quanto ancora ne passerà prima di non sentire più il rumore delle ruspe.

Tre le zone in cui si sono concentrati i lavori: il torrente Saponarà, il torrente Racinazzi e il torrente Divieto. Quest’ultimo è quello che è stato ultimato nel più breve tempo e, a detta degli abitanti di Scaletta, anche quello che sarebbe stato realizzato meglio. Perché, spiegano i cittadini, la larghezza del greto del torrente è stata mantenuta anche dove sono stati realizzati i due sfoghi che trasportano l’acqua a mare.

Non è stata fatta la stessa cosa invece nel torrente Saponarà. Lì il foro di sfogo acque, proprio accanto all’ufficio postale, si restringe a imbuto rispetto alla larghezza del torrente. Invece nella parte alta insistono ancora dei lavori. Sono stati realizzati dei muri di contenimento ed è stata ricostruita la strada a sinistra del greto, mentre prima dell’alluvione era a destra come ricorda un signore che abita proprio nelle case che sovrastano il torrente, ma che per fortuna non sono state colpite. Di fronte invece, una costruzione proprio attaccata alla montagna, cominciata prima della tragedia e mai completata: “Dopo quello che è successo si sono spaventati”. Comunque, i lavori dovrebbero concludersi presto con la pulizia dell’area.

Arriviamo al torrente Racinazzi, vero e proprio centro della tragedia: il ponte sulla strada è stato costruito, ma per la riapertura definitiva bisognerà aspettare ancora qualche altro giorno, il tempo di installare la ringhiera dal lato del torrente per una questione di sicurezza. Il ponte è stato ribattezzato da molti il grande “dosso” per la sua forma. Una necessità, spiegano gli operai, perché la rete fognaria che passa al di sotto è stata costruita alta per volere degli ingegneri idraulici che hanno stabilito una determinata capienza di metri cubi di acqua della rete. Ma, ponte a parte, è difficile stabilire quando termineranno i lavori che insistono sul torrente. E’stata realizzata infatti una campata, ma dovrebbe esserne realizzata un’altra con relativo foro di sfogo acque, ma ancora i lavori sono a zero. “Non ci sono i soldi”, dicono gli addetti ai lavori, “anche tanti abitanti che hanno perso la casa ancora non ne hanno ricevuti”.

Una questione, quella dei mancati contributi, che approderà oggi a Palermo in commissione Bilancio, su richiesta del capogruppo M5S all’Ars Valentina Zafarana che vuole fare luce sulla mancata erogazione dei fondi messi a disposizione dalla finanziaria 2013 e 2014.

Le persone sono abbastanza tranquille, sperano solo che quello che è successo cinque anni fa non ricapiti mai più. Molti sono tornati da poco nelle loro abitazioni, come una signora che abita vicino al torrente Divieto: “Io e mio marito siamo rientrati da un anno a casa, ma mi sono dovuta adattare al piano di sopra, dove avevamo solo la stanza da letto. Abbiamo costruito un bagno e una cucina perché al piano terra non potevamo stare”. La signora ha 70 anni e se lo ricorda bene quel giorno: “Siamo rimasti chiusi in casa per 24 ore con l’acqua alle gambe finché mio figlio non è venuto da Messina a tirarci fuori. Abbiamo superato i torrenti straripati per andare a cercare nostra figlia che abitava all’inizio del paese. Siamo stati in albergo, in affitto e poi da mio figlio prima di ritornare qui”. Si commuove la signora e non riesce a parlare. “Siamo tranquilli? Non lo sappiamo, speriamo solo che non succeda più”.

IL RICORDO DI QUEL GIORNO

Aveva cominciato a piovere, il signor Salvatore era salito in terrazza per prendere delle candele, nel caso fosse mancata la luce. Stava tornando di sotto quando sentì un boato e il passamano della scala cominciò a tremare. “Ho pensato a un terremoto ma, quando sono sceso, i piani inferiori erano invasi dal fango. Pensavo che la casa stesse sprofondando. Sentivo le persone gridare aiuto e nell’aria c’era puzza di gas, ho cercato di affacciarmi per capire cosa stesse succedendo e mi sono chiesto: Ma le case dove sono?”.

A Scaletta Zanclea il 1 ottobre 2009 è successo tutto in 30 secondi. La via Roma, la strada principale proprio di fronte al torrente Racinazzi, era diventata una grande diga di acqua e fango che aveva inondato tutte le abitazioni al primo piano, sommergendo persone e cose. Di fronte alla casa del signor Salvatore – che mostra ancora i segni dell’alluvione – c’è la montagna su cui sorge il castello Rufo Ruffo: “Questa ci ha salvati, altrimenti saremmo morti anche noi”. La montagna, spiega, ha resistito all’urto dell’acqua, ma se fosse franata anche quella la tragedia sarebbe stata ancora più grande.

Il torrente Racinazzi, lo abbiamo detto più volte, è uno dei luoghi simbolo dell’alluvione perché lì si sono verificati i danni maggiori e sempre lì, purtroppo, ci sono state più vittime. “In quella casa di fronte sono morte due persone”, racconta, “nelle abitazioni che erano vicine all’argine del torrente ne sono morte altre tre, là”, continua a indicare, “c’era la macelleria Bellomo”, e così via. Una lunga lista di nomi, tra morti e dispersi. Un ricordo troppo duro per essere messo da parte in cinque anni. C’è ancora incredulità nel suo tono di voce per quello che è successo: “E’ stata una catastrofe, un evento straordinario, non pioveva, l’acqua scendeva dal cielo come una cascata”, e cerca altre parole per spiegare qualcosa che, evidentemente, non può essere descritto, “come se una macchina si scontrasse con un treno: ne uscirebbe distrutta” .

Il primo scoppio ha fatto rotolare i massi da Scaletta Superiore, “massi che rotolavano come pietruzze” e che hanno disintegrato intere abitazioni. Ma proprio l’azione dei massi è stata una salvezza per molti: “Le macchine erano state scaraventate anche nei balconi delle case, ma la maggior parte erano state sospinte sotto i ponticelli della linea ferroviaria, occludendone il passaggio”, spiega, “i massi hanno distrutto la ferrovia e spinto le auto in mare, creando uno sfogo per far defluire l’acqua”.

Un evento del genere non era mai successo e le conseguenze, dal racconto, appaiono inevitabili: “Questa era tutta valle” e indica almeno 50 metri da una parte e dall’altra del torrente Racinazzi, “Scaletta Marina una volta non esisteva, erano solo i pescatori a scendere qui da Scaletta Superiore per andare a mare, qui era una vallata, tutta campagna. Pian piano si è cominciato a costruire, prima gli stessi pescatori per avere qualche posto dove lasciare le attrezzature, poi la Ferrovia, e quello ha dato coraggio per continuare a costruire”.

Anche Salvatore fa il pescatore e ricorda che quel giorno si sono scontrati venti di scirocco e ponente: “Lo scirocco di solito forma dei vortici che aspirano l’acqua dal mare e la riversano sulla costa, quella volta invece l’acqua è stata spinta verso terra e ha toccato le montagne provocando la bomba d’acqua che ha fatto staccare i massi”.

“Un evento straordinario”, continua a ripetere, una concatenazione di fattori che ha scatenato il finimondo: “Se dovesse ricapitare, come si fa a dire che le opere realizzate salveranno il paese?”.

Giusy Briguglio

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