“Annie Parker”, il coraggio di resistere

“Annie Parker”, il coraggio di resistere

Tosi Siragusa

“Annie Parker”, il coraggio di resistere

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lunedì 28 Marzo 2016 - 23:03

Sulla rotta della decima musa: la battaglia per la sopravvivenza tra mélo e divulgazione scientifica. Impressioni a cura di Tosi Siragusa

Il drammatico “Annie Parker” di Steven Bernstein, già direttore della fotografia, qui a proprio agio in una storia che si dispiega fra fiction, è mélo e divulgazione scientifica dove quest'ultima non prevale mai, come in un'opera di finzione che si possa definire tale: la vicenda non è, insomma a servizio delle informazioni, preziose, che si vogliono veicolare.

Protagonista è la battaglia per la sopravvivenza, quando il corpo, continuamente assalito dalla malattia, vorrebbe cedere, ma la dignità aiuta a resistere con un sorriso, che è ora humour leggero, ora quasi nero, ma che aiuta a proseguire il cammino. Pare infinita, la lotta di Annie Parker contro un cancro al seno, che ritorna più volte, implacabile, mentre l'esistenza (degli altri) continua nelle forme ordinarie. Samantha Morton, eccezionale protagonista, è impeccabile nella resa del personaggio, sia quando la morte, giunta prematuramente, le ruba la madre e poi la sorella, che quando si ammala, come prevedeva, temendolo: il dubbio le si insinua, forse quel tumore è di natura genetico-ereditaria, ma gli studi non portano per anni a soluzione alcuna, mentre Annie si informa, confronta dati, vuol capire, vomita per la chemioterapia e va avanti, il cranio pelato ricoperto da un foulard, affiancata da un medico empatico e un'ex infermiera spartana e ammirevole. Il marito, il rockettaro Aaron Paul, prima sessualmente molto attivo, respinge quel corpo mutilato, trovando conforto nella bionda amica di Annie, a riprova di quanto siano difficili i rapporti di coppia quando il male si insinua e trasforma persone e cose. Annie è il coraggio, la forza e la disarmante allegria nell'andare avanti per sè e anche per il figlio. Helen Hunt è la brillante genetista e ricercatrice Mary-Claire King, un po' trattenuta nei rapporti umani, ma che, anche solo per un attimo, riesce ad aprirsi con Annie in un loro commovente incontro. Anche Alice Eve e Rashida Jones rendono convincenti i rispettivi ruoli. Come alcuni sapranno, trattasi della storia vera di due donne che, ciascuna per la propria parte, hanno avuto un ruolo fondamentale nella scoperta del gene BRCA.

In conclusione, non di un tipizzato cancer-movie si discute, innalzandosi il film in parola al di sopra del filone dei drammoni strappalacrime, per i fattori sopra evidenziati. Ottima la scelta di inserire il lungometraggio nel circuito del Cineforum Don Orione: e infatti, se ancora la parola "cancro" suscita rifiuto ed è, anche da persone colte, definito "il brutto male", innominato (e ciò è provato dalla presenza in sala di esigui spettatori) è innegabile come occorra, dunque, insistere ancora nel divulgare dati e effetti di una malattia, invero sempre più curabile, che andrebbe battuta "in primis" sul piano della prevenzione.

Tosi Siragusa

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