“Francofonia”, arte in tempesta

“Francofonia”, arte in tempesta

Tosi Siragusa

“Francofonia”, arte in tempesta

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domenica 21 Febbraio 2016 - 23:03

Sulla rotta della decima musa: un’elegia per l’Europa, sottotitolo che condensa lo spirito di un'opera maestosa, puro piacere visivo. Impressioni a cura di Tosi Siragusa

Nel solco della “Arca russa”, altamente talentuoso e visivamente accattivante con quell’unica sequenza ininterrotta, “Francofonia”, nuovo film di Aleksandr Sokurov, già Leone d’oro alla 72° Mostra di Venezia e Gran premio della Giuria (finalmente per una giornata “d’autore” presso il cinema Iris) è forse ancor più convincente del precedente e si presta ad esser definito come drammatico film–saggio, più che come opera solo poetica, come forse originariamente concepita. Le musiche, composte da Murat Kubardokov, raccontano l’anima segreta della storia e fanno percepire allo spettatore l’invisibile. L’intitolazione rimanda alla capacità di uso della lingua francese, al quinto posto fra quelle più parlate nel mondo.

La storia, tipica di un film di finzione, è al servizio della volontà di documentare le meraviglie del Louvre, talchè la relazione che si instaura fra due esseri non ordinari, che divengono complici, il direttore del museo Jacques Jaujard e l’ufficiale di occupazione nazista responsabile della gestione dei beni culturali francesi, il conte Franziskus Wolff-Metternich, è utilizzata per mostrare, con lo smisurato spessore umano registico, il rapporto indissolubile fra arte, potere e natura reale di un popolo. Cosa sarebbe Parigi e la Francia tutta senza il Louvre, che è simbolo della coscienza etico – culturale identitaria dello Stato francese. E così “Francofonia” è anche riflessione storico–filosofica, che mantiene toni leggeri ed è stratificata attraverso l’uso di materiale di repertorio di ricostruzione storica, di documenti e scene tese di recitazione, ma anche di divagazione sperimentale e armoniosa elegia. Bianco e nero e colore, e a tutto ciò fa da collante la voce off del regista, in Italia doppiata da Umberto Orsini, che sa riunificare con sapienza lo spirito creativo. A tratti l’opera filmica stempera la complessità e il rigore con una sottostante ironia che permea la vicenda. Il senso potrebbe sintetizzarsi nell’incontro fra due popoli (oltrechè fra due esseri umani) oltre lo scontro bellico tragico, nell’intento comune di salvaguardare il valore inestimabile delle opere parigine, e, in buona sostanza, la cultura europea. Si suggerisce senza preamboli che la storia passata e l’arte nelle sue accezioni possano da sole essere fattore di unione e se anche tale prospettiva fosse solo spirito visionario, non può non esser propugnata come utopia da continuare a perseguire, dati i tempi bui che siamo costretti a percorrere; tali sacrilegi, ove ancora posti in essere, non potranno che far precipitare l’arte nella deriva di una tempesta distruttiva e il genere umano verso l’abisso. La memoria dunque quale necessario strumento per preservare l’identità dei popoli e la loro storia, tesori immortali dinanzi ai capricci dei tiranni, da Napoleone a Hitler, che ambiscono a collezionare l’arte mondiale per vanagloria. Vi è l’esigenza di un’arca: e la “Zattera della Medusa” di Gericault, conservato al Louvre, ricorre più volte, con l’intento di rappresentare la precarietà e la disfatta, prendendo spunto dalla fregata Medusa, naufragata in Mauritania, con il salvataggio di pochi su una zattera. Il lungometraggio è interpretato da Louis do De Leucquesaing (Jacques), Benjamin Utzerath (ufficiale tedesco), Vincent Nemeth (Napoleone), Johanna Korthals Altes (Marianne) e, ancora, Audrey Chelpanov e Jean-Claude Caer. La splendida fotografia è di Bruno Delbonnel. Alexandr Sokurov lascia la sua impronta, anche sulla base portante, id est, la sceneggiatura, che lo rappresenta appieno.

Film pienamente compiuto, meritevole di un ottimo voto, in quanto trascende l’opera documentaristica, quella poetica, quella di finzione e di sperimentazione, ponendosi come arte pura. E così la nave–cargo, carica di opere d’arte, è in preda a tempesta nel Mare del Nord, ed il filmaker in persona è in contatto con il comandante, un amico di nome Dirk. L’arte rischia continuamente di essere in balia della brutale banalità, è fragilissima e può essere perduta a se stessa. Parigi, patria della rivoluzione, con i suoi principi fondamento delle democrazie contemporanee, aspetta l’invasore tedesco, e Marianne, simbolo della Repubblica, ci accompagna fra le sale museali. E il Louvre è metonimia del mondo, una universale arca con la sua Vittoria alata (la Nike di Samotracia) mutilata dal potere ma che trae linfa dalle umane vicissitudini (senza la vanagloria dei potenti non ci sarebbe neanche la reggia e l’arte). Il potere, dunque, forza bruta, e l’arte, mezzo di sublimazione, continuano a dialogare in modo contraddittorio con continue deflagrazioni e costituiscono le colonne portanti della poetica del cineasta russo.

Tosi Siragusa

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