La La Land. Un inno all’arte

La La Land. Un inno all’arte

Tosi Siragusa

La La Land. Un inno all’arte

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mercoledì 01 Febbraio 2017 - 07:41

Sulla rotta della decima musa: commedia dolce amara con vaga temporalità nell’eterna estate di Los Angeles, quasi eterno presente. Riflessioni a cura di Tosi Siragusa

Il talentuoso giovane regista Damien Chazelle, già debuttante con Whiplash, reduce dal riconoscimento alla kermesse veneziana (coppa Volpi ad Emma Stone e premio del pubblico) con La La Land ha incassato la vittoria di sette Golden Globes lo scorso otto gennaio e si avvia con meritate possibilità verso gli Oscar 2017, risultandone candidato a ben quattordici.

La città degli angeli – e la sua mecca del cinema, Hollywood – è celebrata in ogni fotogramma di questo musical, sempre in bilico fra realtà e fantasia. Emma Stone e Ryan Gosling sono perfetti e spontanei interpreti di due esseri solitari e perdenti, e cioè l’aspirante attrice Mia e il pianista jazz duro e puro Sebastian che, in attesa di realizzare le rispettive passioni, sbarcano il lunario facendo, l’una, la barista, e l’altro, suonando jazz in locali di ristorazione (nell’attesa di far rinascere un leggendario jazz club). Nell’incanto della loro giovane età l’aspirante nuova coppia si mantiene per un po’ in equilibrio fra la realizzazione amorosa e i faticosi percorsi lavorativi. Whiplash raccontava l’ossessione e il lato oscuro della ricerca del successo. In La La Land protagonisti sono i sogni, le aspirazioni più profonde e l’impegno nel realizzarle. Il filmaker ripropone sapientemente un genere musicale in auge negli anni '50, rivisto e corretto ai giorni d’oggi, creando un ingranaggio perfetto e gioioso ma intriso di toni crepuscolari, tentando di ritrovare la magia di un mondo che più non è; a differenza di Un americano a Parigi di Vincente Minnelli, recentemente tornato in sala nella versione restaurata, questo film recente porta sullo schermo anche le difficoltà di gestire il successo, che rischia di ostacolare l’esistenza di coppia. L’opera cinematografica è dedicata alle follie e ai sognatori e i due protagonisti, pur non essendo grandi ballerini e cantanti ed anzi proprio per questa carenza che è il centro del film – hanno cantato e ballato meravigliosamente. La loro storia peraltro ricalca anche la reale ricerca di Emma Stone, che grazie alla propria illuminata madre, all’età di quindici anni ha potuto trasferirsi a Los Angeles per seguire con sacrificio la carriera attoriale, e sicuramente questo è anche il percorso di quasi ogni artista, che prima di arrivare, si è visto sbattere più volte la porta in faccia, senza per questo arrendersi. E quando la tentazione di mollare, a causa dei tanti no diviene prepotente, ecco che anche ottenere una partitina, ritagliarsi un ruolo, diviene fondamentale. Certo Mia e Sebastian dovranno affrontare anni di duri sacrifici prima di ottenere i giusti apprezzamenti. La Stone ha peraltro portato a Broadway Cabaret, e con successo anche, e sembri adori ballare avendo anche seguito corsi di danza per dieci anni, e non ritenendosi impeccabile, approdando poi alla recitazione. Lo studio delle coreografie di La La Land è stato certo duro, così come la parte dedicata al canto; come feroce sembra proprio sia a Hollywood la concorrenza fra aspiranti agli stessi ambiti artistici, ove il perseguimento dei ruoli è effettuato con durezza, dovendosi superare le frustrazioni inevitabili. La coppia Stone-Gosling, già collaudata dopo Crazy, Stupid Love e Gangster Squad come negli anni d’oro dei musical (a titolo esemplificativo si veda Ginger Roger e Fred Astaire o Leslie Caron e Jene Kelly) regge bene, con stupenda naturalezza. E così La La Land, piccola grande opera che racconta una storia che è fatta anche di assenze e atti mancati, è in grado di risvegliare le energie sopite, sospingendo lo spettatore attraverso riflessioni nostalgiche, verso una propria realizzazione. E convincono anche i costumi, le scenografe e la fotografia, in questa commedia di genere sentimentale–musicale, sempre bilanciata fra spettacolarità e marchio d’autore, con eleganti piani sequenza, con i personaggi a figura intera che imitano il musical, evidenziando il forte senso di perdita per un cinema ormai scomparso e un jazz che non c’è più. Gli altri interpreti sono J. K. Simmons, Finn Wittrock, Sandra Rosko, Sonoya Mizuno, John Legend, Hemky Madera, Ana Flavia Gavlak, Callie Hernandez.

Un cenno a parte meritano poi le musiche che sottolineano le quattro stagioni di un certo anno, che sembrano confondersi nell’eterna estate di Los Angeles, con epilogo un lustro più tardi, attraverso le belle orchestrazioni di canzoni di Justin Hurwitz, composte dai parolieri Benj Pasek e Justin Paul, di gusto retrò e ritmo semplice. C’è infine come un’alchimia, un’essenza visionaria, una leggerezza e gioia di vivere, che seguono le leggi dell’umano desiderio ed in definitiva il lungometraggio si direbbe un inno all’arte in ogni espressione ed in particolare al ruolo consolatorio del cinema che può riscattare il vuoto delle vite, essendo in grado di incarnare le più profonde sfaccettature dell’animo umano. E il regista, in definitiva, si consolida quale maestro di stile e gusto eclettico e raffinato.

Tosi Siragusa

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