“Rocco e i suoi fratelli”, il capolavoro restaurato

“Rocco e i suoi fratelli”, il capolavoro restaurato

Tosi Siragusa

“Rocco e i suoi fratelli”, il capolavoro restaurato

Tag:

sabato 19 Marzo 2016 - 23:03

Sulla rotta della decima musa: le vicende di una famiglia lucana emigrata a Milano nel film capolavoro di Luchino Visconti. Impressioni a cura di Tosi Siragusa

Nell'ambito del ciclo "Il cinema ritrovato" si è svolta al Multisala Iris, la proiezione della versione integrale (restaurata nel 2015 in HD dalla Cineteca di Bologna) della pellicola viscontiana “Rocco e i suoi fratelli”, lungometraggio risalente al 1960 (anni bui per l'Italia governata da Tambroni) della durata di ore tre già premiato con il Leone d'Argento a Venezia ed apparentato con altri capolavori del compianto filmaker come "La terra trema" e "Il Gattopardo" per la loro comune connotazione concernente il Sud del nostro Paese – come i Sud del mondo – sempre indagato come esemplare della tragicità della condizione umana (che in quelle terre e nei periodi in considerazione, appare irredimibile) e portatore di grandi contrasti.

La storia di una povera famiglia (i Parondi) approdata dalla natia Lucania in una Milano vista come terra promessa, sfocia in un destino amaro, anche se sul finale si intravede uno spiraglio di speranza. Sulle tracce di Pietro Germi nel "Cammino della speranza" e di Eduardo (De Filippo) ne "Napoletani a Milano", l'opera filmica se ne discosta, rimanendo il contesto milanese della vicenda assorbente rispetto al dato di partenza e si ravvisa il debito narrativo verso il Giovanni Testori de "Il ponte della Ghisolfa", cui il soggetto è ispirato. Il Sud e la Lucania in particolare si incorporano nella dolente figura della Madre, nella grandissima resa dell'attrice teatrale greca Katina Paxinou. Il tema del pugilato (da intendere come forma di lotta per la sopravvivenza) era poi già presente fra gli interessi del giovane Visconti per i romanzi sportivi. Si può dire che la definizione "poetica degli stracci", data polemicamente da Barbaro nei confronti di "La terra trema", si può attagliare anche a "Rocco e i suoi fratelli", se si intenda quale magica sublimazione degli stracci nella visione poetica e ideologica artistica della questione meridionale e quale alta fonte di ispirazione. Certo, la letteratura verghiana ha molto pesato nella formazione del regista, ma anche la scoperta post bellica e post resistenza, da parte dell'intellettuale, dei problemi strutturali, sociali, culturali, spirituali e morali del Paese. Importanti anche il fascino delle "Conversazioni" di Vittorini e la lettura di Gramsci, che scoperchiarono il pozzo di disgregazione sociale del Mezzogiorno e recepirono il superamento della problematica meridionale, intendendola quale centrale per l'unità italiana e l'importanza della funzione degli intellettuali meridionali nell'alleanza fra gli operai del Nord e i contadini del Sud. Visconti si dirige verso il dramma psicologico dei vinti, sugli stati d'animo, pur se con sguardo fermo sui conflitti sociali e sulla passione civile, giungendo a conclusioni che pongono al centro i singoli individui. I rapporti fra i cinque figli, che danno il nome a ciascun episodio, e fra essi stessi e la madre, sono importanti quanto il fatto che trattasi di famiglia dell'arretrato e arcaico Sud, che non ha avuto che briciole di quel miracolo economico italiano, attendendo ancora di uscire dall'isolamento morale e spirituale, prima che economico. Non si ravvisa alcun intento propagandistico nella rappresentazione filmica, mutuata come è dalla cronaca di quegli anni dei lavoratori meridionali in cerca di fortuna al Nord, ma la vicenda appare anche tipica, per l'apertura dei personaggi alla speranza della rinascita, e la frustrazione per la insufficienza di soluzioni di inserimento, sempre parziali. In questo caso di deprivazione si arriva al delitto, anche per il tabù dell'onore, malconcepito, che scatena la maschia violenza primitiva. Sembra che la società quasi irrida gli impulsi individuali più generosi e tale tema è trattato non con modalità di estetico compiacimento antisociale, ma presentando artisticamente il volto reale dell'ostacolo e il luminoso rovescio di una diversa prospettiva: in questo caso la frana morale della famiglia nel momento di maggiore assestamento economico è messa in chiaro da Ciro, uno dei fratelli, operaio alla Fiat, che ha saputo inserirsi nella vita con coscienza dei diversi doveri discendenti dai diritti. E Ciro che parla a Luca, il fratellino piccolo, della giusta visione futura del Paese, è emblematico della concezione viscontiana. I conflitti sono certo esasperati artisticamente, ma reali, il pessimismo dell'intelligenza è superato dalla carica rivoluzionaria della volontà, si condanna ciò che merita condanna e si assumono le giuste speranze e aspirazioni. Così, se Vincenzo si integra acriticamente e Rocco è raggelante nella sua ingenua speranza, e Simone diviene la canaglia distruttiva del nucleo familiare, gli ultimi nati convogliano i fermenti spirituali, che potranno far germogliare un possibile riscatto dall'oppressione. E' un Meridione africano, pericolosamente vicino al dramma attuale dei migranti – sicuramente ancora, però, più mal sopportati dagli ospitanti, con dovute eccezioni degne di nota, rispetto all'epopea trattata.

Il grande Luchino si è dunque accostato al Sud con un movimento dell'anima, che traspare anche in questo prodotto di altissimo livello, e da aristocratico comunista qual era, ha trovato la non facile strada di giusta espressione, per invitare a ragionare lo spettatore. Visconti, ecletticamente portato a misurarsi con ogni forma di spettacolo, ha sempre però approfondito i rapporti con le cose e con gli uomini, escludendo nei suoi metodi procedurali ogni forma di dilettantismo, e pressapochissimo, da vero e indiscusso maestro. La sceneggiatura, immensa, è dello stesso regista, unitamente a Suso Cecchi d'Amico, Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa; le scenografie di Mario Garbuglia, la fotografia di Giuseppe Rotunno, i costumi di Piero Tosi, le musiche di Nino Rota e Goffredo Lombardi in produzione… insomma tutti i grandi collaboratori di sempre dello staff viscontiano concorrono in questo risultato d'eccezione. Alain Delon è Rocco, il puro, Renato Salvatori il fratello che si perde, Annie Girardot l'indimenticabile prostituta Nadia, Paolo Stoppa l'impresario Cecchi, appassionato, Claudia Cardinale, Ginetta, la stereotipata compagna milanese di Vincenzo, Spiros Focas il fratello molto conformista, Max Cartier il riuscito Ciro, Rocco Vidolazzi, Luca, la speranza; si annota anche la presenza di Franca Valeri, Adriana Asti, Claudia Mori, Corrado Pani e Suzy Delair.

Tosi Siragusa

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta
Tempostretto - Quotidiano online delle Città Metropolitane di Messina e Reggio Calabria

Via Francesco Crispi 4 98121 - Messina

Marco Olivieri direttore responsabile

Privacy Policy

Termini e Condizioni

info@tempostretto.it

Telefono 090.9412305

Fax 090.2509937 P.IVA 02916600832

n° reg. tribunale 04/2007 del 05/06/2007