Io sono una donna d’acqua. Messico e nuvole

Io sono una donna d’acqua. Messico e nuvole

Tosi Siragusa

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martedì 11 Luglio 2017 - 07:29

Memorie in chiaroscuro tra autentica passione e selvaggia fascinazione

Il Teatro dei 3Mestieri, al suo secondo appuntamento estivo, ha offerto uno spettacolo di grande suggestione curato dal Teatro di Morman con i testi (bellissimi) di Donatella Venuti, che è stata anche unica versatile interprete monologante. Le musiche originali dal vivo della chitarra di Arcadio Lombardi hanno accompagnato la performance, sottolineando sapientemente i frequenti passaggi di tono, ora interagendo, ma più spesso volutamente sovrastando la recitazione.

Il progetto scenico di Franco Lombardo ha posto l’accento sul richiamo, attraverso video di buona qualità e pochi selezionati elementi materici, alle principali opere e agli oggetti più rappresentativi dell’artista, qui immaginata nelle drammatiche battute finali della sua tormentata esistenza. L’icona dell’arte visiva pittorica era stata tratteggiata nello script L’incantesimo di Frida K. di Kate Braverman, che ci aveva già trascinato negli abissi dell’inconscio della pittrice, di personalità multiforme, capace di visioni allucinate e di brucianti illuminazioni. Donna speciale, Frida Kahlo. Bambina viziata e molto amata soprattutto dal padre e dalle sorelle, con una infanzia da poliomielitica, e la malattia che le aveva lasciato l’ingombro di una gamba leggermente più magra e corta dell’altra che le aveva reso più pesante la vita, non potendo più esserne protagonista a suo modo, facendola ripiegare in una esistenza segreta, ove l’amicizia e i mondi favolosi divenivano strumenti per superare le cattiverie dei coetanei. Quell’Alejandro Gomez, suo primo amore, era con lei sull’autobus al momento dell’incidente che, pur lasciandola in vita, le costò una convalescenza dolorosissima durante la quale iniziò a dipingere da autodidatta, ossessionata dal corpo umano e dai suoi misteri (e quasi sempre si trattava di autoritratti e sempre risaltavano le sue spesse sopracciglia unite). La convalescenza poi e il già famoso Diego Rivera, il grande orso carismatico, la rana verde che tanta parte avrà nella sua esistenza, ma che allora era sposato con Lupe Marin. E si rievoca anche il loro matrimonio successivo al municipio di Coyoacan, la maternità, per Frida ripetutamente negata (che diveniva ossessione) il viaggio negli States, il ritorno in Messico, e ancora New York e Detroit, la morte della madre, la scoperta dell’ennesimo tradimento di Diego con la sua sorella prediletta, Cristina, e Casa Azul, l’ambiguo rapporto con Lev Trotzsky e sua moglie e con i coniugi Breton, il Louvre, ancora New York e l’amore con il fotografo Nickolas Muray, e l’apprezzamento di Kandinsky, Mirò e Picasso; e poi però la richiesta di divorzio per infatuazione di Diego per l’attrice Maria Felix e l’atroce dolore, che generò la pittura migliore di Frida l’amore saffico con Gertrudis e la riconciliazione, ancora, con un nuovo matrimonio, e la vita dei due pittori che ricominciava, con Diego “che rideva con tutto il corpo”, i pappagalli, i cani Itzcuintli e le scimmie, i gatti, il cerbiatto Granizo, gli ornamenti precolombiani e i vestiti tehuani e quegli atroci dolori che continuavano e il suo orribile busto di gesso, e l’ennesimo intervento di New York – non risolutivo – e, ancora, gli anabolizzanti e la depressione e i suoi Fridos, e Diego sempre Diego, motore della sua creatività, e Frida che diveniva leggenda con il dolore oramai persistente, la mostra a New York e l’arto amputato, la sedia a rotelle e il busto ortopedico e l’angoscia del presentimento della fine, con la morte a breve termine, e la sua richiesta a Diego di cremazione. Diego, crudele e appassionato, gentile, e poi carnefice, e Frida, al secolo Carmen, ridicola, buffona, impropria, ma anche risplendente e ammirata, e da qualche tempo riscoperta e celebrata con film e mostre. In conclusione, se si eccettuano la sacrificata esposizione scenica, causata dal ristrettissimo spazio del palcoscenico e i problemi tecnici, con l’audio a intermittenza, che sicuramente hanno reso particolarmente gravose le performances, recitativa e musicale, l’intenso monologo ci ha restituito una donna gravemente sofferta, ma mai vinta, con un corpo che si andava sbriciolando, ove la cifra, che avrebbe qui dovuto essere quella del limite fisico, è invece ancora il desiderio nelle sue forme più elevate, l’amour fou – nei confronti di uomini, in primis Dieguito Rivera – ma anche donne – quali, si pensa, la fotografa Tina Modotti – più in generale però verso la vita, cosmico insomma, il furore che, bruciante, la condannava a restare in vita con l’ingordigia di chi vorrebbe insieme anche staccarsi dalla terra, anelando la Grande Festa, la Pelona (morte) con il commiato dalla sofferenza.

Quell’ultima immagine di una Frida ridivenuta giovane e miracolosamente sana (come mai era stata) che affonda i piedi nella terra per gustare il contatto con Madre Natura,e ci piace pensare,ritorna al primordiale elemento liquido – quello amniotico – è davvero toccante e lascia ben intuire l’immedesimazione dell’autrice e interprete con il Suo personaggio, dalla cui pelle sicuramente sarà venuta fuori oltremodo dolorante. Grazie, Donatella.

Tosi Siragusa

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