Bolero Trip-Tic. Il tradimento dell’Impressionismo

Bolero Trip-Tic. Il tradimento dell’Impressionismo

giovanni francio

Bolero Trip-Tic. Il tradimento dell’Impressionismo

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martedì 15 Maggio 2018 - 06:04

Il balletto moderno tradisce lo spirito di Debussy

Il “Prelude a l’après-midi d’un faune”, il brano di Debussy destinato a cambiare e stravolgere la storia della musica da lì in avanti (siamo nel 1893), rappresenta il proposito del rivoluzionario compositore francese di illustrare liberamente le “impressioni” ispiratrici del poema di Mallarmè (così nasce quindi il cosiddetto “impressionismo” in musica). Lo stesso Mallarmè, entusiasta del brano, ebbe ad affermare “Non mi aspettavo una cosa simile! La vostra musica prolunga l’emozione dei miei versi e rende l’ambientazione con più passione ed efficacia di quanto non riuscirebbe a fare la pittura”. Gli effetti generati da tale brano, che con delle meravigliose suggestioni sonore, strutturate senza seguire più la forma armonica “chiusa” che aveva caratterizzato la musica dei due secoli precedenti, evocano il fauno e i suoi desideri erotici nei confronti di alcune ninfe, edi il successivo assopirsi nel suono del flauto di Pan da lui stesso suonato, destarono enorme impressione all’epoca, ed in effetti nasceva un nuovo modo di comporre musica.

Il “Prelude” nel 1912 fu messo in scena a Parigi dai “Ballets Russes” di Djagilev, con la coreografia di Nizinsij, e l’interpretazione particolarmente sensuale del ballerino destò scalpore, tanto da innervosire alquanto lo stesso Debussy. Ci chiediamo pertanto cosa avrebbe pensato il musicista francese se avesse potuto assistere allo spettacolo andato in scena al Teatro Vittorio Emanuele, a cura del Balletto di Roma, per la coreografia di Giorgia Nardini. Niente dello spirito che ha ispirato il brano si riscontra nel balletto: un danzatore seminudo che compie movenze di “stretching” senza musica, a lungo (troppo a lungo), fino a quando, dopo l’ingresso degli altri elementi del corpo di danza, si ode finalmente il flauto di Pan con il quale inizia il Prelude; la meravigliosa melodia però viene “disturbata” da sincopati battiti di mani dei ballerini, mentre eseguono passi di danza assolutamente (volutamente) scollegati rispetto alla melodia. Tutto il balletto prosegue su passi che difficilmente possono ricondursi al poema di Mallarmè, ma stravolgere lo spirito di un brano impressionista, di un compositore già di per sé rivoluzionario e dissacrante, suscita davvero parecchie perplessità. Non è andata meglio con il secondo balletto, intitolato “Stormy”, per la coreografia di Chiara Frigo. Sulle note della “Suite bergamasque” di Debussy, un brano delicatissimo, classicista, ispirato al mondo delle maschere, galante e malinconico ad un tempo, il corpo di ballo mima le vicende dei migranti, un tema distante da ogni spirito ispiratore del brano. Il bolero è una danza di origine spagnola nata alla fine del ‘700, che ha la sua peculiarità nel ritmo costante, quasi ossessivo. Il brano di Ravel nacque per un balletto su richiesta della celebre danzatrice Ida Rubinstein nel 1928 ed è sicuramente il capolavoro in assoluto più conosciuto di Ravel; è tale la sua popolarità che ormai quando si parla di Bolero si pensa immediatamente al brano di Ravel, e non ad una forma di danza spagnola. L’idea originale a cui si deve tanta popolarità consiste nel ripetersi di un tema sempre uguale, suonato da gruppi di strumenti che si aggiungono progressivamente. Colpisce in particolare l’utilizzo dell’orchestra che lascia ancor oggi stupefatti, con impiego di strumenti a fiato abbastanza inusuali, come l’oboe d’amore (antico strumento barocco), o il saxofono (proprio della musica jazz). I singoli gruppi di strumenti si aggiungono progressivamente ogni volta che si rinnova il tema: prima i vari gruppi di legni, poi gli ottoni, infine gli archi, con un ritmo ostinato, incantatore ed ossessivo, che rapisce l’ascoltatore fino al “tutti” finale, fortissimo e dissonante, con cui si conclude l’impressionante brano.

Il Balletto di Roma, per la coreografia di Francesca Pennini, ha rappresentato una serie di zombie, drogati e annullati per diventare schiavi, lavoratori totali. A differenza degli altri brani rappresentati nello spettacolo, il ritmo ossessivo del Bolero ha ben reso l’idea di una massa di individui quasi ipnotizzati, e per contrasto un danzatore libero, che sfugge a tale contagio. Anche se nel complesso la rappresentazione è risultata un po’ statica, è apparsa comunque una idea interessante, a differenza delle precedenti coreografie che hanno tradito totalmente lo spirito della musica di Debussy, certo non un bel modo per celebrarne il centenario della morte (25 marzo 1918).

Giovanni Franciò

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