“Canti Orfici/Visioni”, la poesia e la chimera

“Canti Orfici/Visioni”, la poesia e la chimera

Domenico Colosi

“Canti Orfici/Visioni”, la poesia e la chimera

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sabato 09 Gennaio 2016 - 23:07

Delude le attese l’ambizioso adattamento del capolavoro di Dino Campana firmato da Giancarlo Cauteruccio. Poche le note positive di uno spettacolo volto spesso a corteggiare inutilmente un’irraggiungibile vertigine artistica

Il Poeta strappa le pagine bianche di un libro: i fogli volteggiano sul palcoscenico, l’eco delle parole investe un pubblico fulminato dall’incedere della musica elettronica. Sullo sfondo scorrono tumultuose le immagini di paesaggi cubisti scomposti, decomposti, frazionati come correlativo oggettivo di un’anima piegata dal tormento dell’esistenza. Le incursioni di una ballerina, prima completamente nuda, poi agghindata alla maniera gitana con una lunga gonna rossa ed il seno scoperto. Nella sconfinata pampa argentina si rincorrono immagini di libertà, il Poeta e la sua scrittura sono travolti da un illusorio senso di emancipazione. Gli interrogativi divengono sempre più incessanti mentre il viaggio giunge alla sua naturale conclusione.

Fedele adattamento dell’omonimo capolavoro di Dino Campana, “Canti Orfici/Visioni” per la regia di Giancarlo Cauteruccio vive di uno scarto profondo tra le ambizioni programmatiche e l’effettiva resa sul palcoscenico: monocorde nei numerosi momenti di stanca, lo spettacolo corteggia inutilmente il senso di vertigine quando la drammaturgia (a firma del critico letterario Andrea Cortellessa) intende accelerare per esaltare le musicalità del testo. L’imponente struttura costruita intorno alla recitazione di Michele Di Mauro solo a tratti riesce a liberare una visione “personale” dell’opera: gabbia, il più delle volte, nel quale è rinchiusa l’anima vagabonda del Poeta, forzata da una ripetitività di gesti ed azioni presto stucchevole. Un’irrequietezza esposta solamente nelle forme teatralmente più classiche giunge in platea come un’eco lontana, spuntata e priva di quella crudezza che segna i passaggi più celebrati della raccolta campaniana. Realizzato nel 2014 in occasione del centenario della pubblicazione dei “Canti Orfici”, lo spettacolo di Cauteruccio vive di pochi isolati momenti in cui i propositi si sposano con la compiutezza dell’esito finale: le musiche di Gianni Marrocolo (ex bassista di Litfiba, Marlene Kuntz e CSI), ad esempio, si segnalano nelle seconda parte come protagoniste stesse dell’opera, al di là della funzione di semplice accompagnamento; ciò appare evidente soprattutto nel caso dell’episodio genovese, l’unico che vede fondersi senza particolari attriti le componenti artistiche dello spettacolo. Nota a parte per le incursioni oniriche della ballerina Martina Belloni, sinuosa e seducente senza stucchevoli ammiccamenti.

Fredda la risposta della platea ad un esperimento riuscito solo in parte: mesti applausi di cortesia a premiare soprattutto lo sforzo interpretativo di un Michele Di Mauro impegnato in una lotta selvaggia contro i limiti della rappresentazione teatrale. Con la Poesia sullo sfondo, ancora una volta inespugnabile cittadella turrita.

Domenico Colosi

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