“Carmela e Paolino”, i morti non si baciano

“Carmela e Paolino”, i morti non si baciano

Domenico Colosi

“Carmela e Paolino”, i morti non si baciano

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domenica 14 Febbraio 2016 - 08:35

Perfetta la prova interprativa di Edy Angelillo e Gennaro Cannavacciuolo nel dramma scritto dallo spagnolo José Sanchis Sinisterra, spietata riflessione sulla memoria e la barbarie sottesa ad ogni conflitto

Le quinte di un teatro abbandonato, ultimi mesi della Seconda Guerra Mondiale. Lo spettro di Carmela fa visita a Paolino, sodale sul palco, compagno nella precedente esistenza. Questi fantasmi, bloccati in un interregno inclassificabile al di là della realtà tangibile: Antonio Gramsci in fila ad un crocevia, soldati morti sul campo di battaglia, civili uccisi per errore, un mondo oramai estinto cristallizzato in una dimensione fuori dal tempo. Carmela stimola Paolino al ricordo, un coraggio spesso languente, la vita sul palcoscenico, scelte inopportune sotto il giogo dei nazifascisti: torna in scena il loro “Varietà sopraffino”, risate, gag e travestimenti per il ricordo-incubo di una punizione priva di significato. Un colpo di pistola prima dell’epilogo, condanna e liberazione per le due metà della medesima tragedia.

Da un dramma dello spagnolo José Sanchis Sinisterra (“Ay, Carmela!” del 1986, orginariamente ambientato durante la Guerra Civile spagnola) sapientemente riadattato da Angelo Savelli, “Carmela e Paolino” usa la rivista, l’avanspettacolo anche greve, per narrare la barbarie sottesa ad ogni conflitto: storia marginale nel provinciale contesto di Prato Lapeligna, l’opera si propone come racconto universale sull’insensatezza della guerra, sul gesto feroce figlio del cieco indottrinamento che rifiuta qualsiasi dialettica. Espediente, infine, per narrare un mondo al tramonto con il suo seguito di perdenti: “Polvere di stelle” il paragone più immediato, con lo iato tra frivolezza e tragica realtà che diviene riflessione sulla fagocitante tensione dell’uomo di spettacolo incapace di comprendere il proprio ruolo all’interno di una società in movimento. Reclusi nei propri dubbi, i protagonisti dell’opera di Sinisterra sono obbligati a rinnovarsi per scoprire il proprio passato: uno diviene fascista quando oramai la sconfitta si è fatta largo all’orizzonte, l’altra anarchica in un aldilà dove l’unico imperativo è quello di ricordare il proprio triste destino. Fantasmi, solo fantasmi. Dramma perfetto per esaltare doti espressive e agilità interpretative quello ammirato al Teatro Vittorio Emanuele: in scena la sciantosa e il dandy, i due sconfitti, la satira politica, la “Cucaracha” cantata all’ombra della svastica per una platea pronta a trasformarsi in quella popolata dai nazifascisti in fuga dal Meridione, con il tradimento e la vendetta sanguinose aspirazioni di un esercito oramai allo sbando; la fine è nota, la risata venata di lutto. Perfettamente calibrata sul vasto spettro di sentimenti umani che la storia percorre tra decise accelerazioni dalla tragedia alla farsa, la coppia composta da Edy Angelillo e Gennaro Cannavacciuolo stupisce per naturalezza e saggezza interpretativa in una controllata fluidità che ha il merito di esaltare la parola anche nella più infinitesimale delle sfumature. Pregevole, in questa direzione, anche l’accompagnamento musicale dal vivo di Marco Bucci (pianoforte), Ruben Chaviano (violino) e Simone Ermini (sassofono e clarinetto).

Avviato a divenire un classico del teatro contemporaneo, “Carmela e Paolino” si conquista ogni singolo applauso in una irresistibile progressione tra disvelamenti e stringenti implicazioni psicologiche: nessun romanticismo di facciata per un lirismo avulso da scontati ammiccamenti. I morti non si baciano.

Domenico Colosi

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