“Mostrocaligola”, il sonno della ragione genera artisti

“Mostrocaligola”, il sonno della ragione genera artisti

Domenico Colosi

“Mostrocaligola”, il sonno della ragione genera artisti

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mercoledì 18 Maggio 2016 - 11:30

Ultimo appuntamento stagionale al Teatro Vittorio Emanuele con il lavoro di Roberto Bonaventura liberamente ispirato ai testi dedicati da Albert Camus e Svetonio al folle imperatore romano

Non importa dettare la storia agli storici se il male continua a travolgere le vicende umane: inutile strumento, il potere, in mano a governanti frustrati dalle contraddizioni del vivere. Caligola si rifugia nell’anarchia disperata di una pagliacciata senza fine, una sarabanda di orrori volta a testimoniare l’annullamento di ogni speranza. Solo, vittima di sogni sempre più vani e caricaturali, l’imperatore romano alimenta consapevolmente la congiura che lo porterà alla morte. L’ordine non tollera l’arte situazionista.

Uno spazio aperto, nudo nella sua interezza, accoglie il dramma del potere: in fondo al palco i neon delle porte d’emergenza, le carrucole, strumenti abbandonati; in scena solo una pedana per ospitare i musicisti e una poltrona rivestita da un drappo rosso e nero. Il “Mostrocaligola” garage di Roberto Bonaventura è opera aperta che accetta qualsivoglia contaminazione, un semplice canovaccio da riempire di contenuti spuri, da Camus a Svetonio, dal cabaret a Vincenzo Consolo: atto d’amore per l’arte e il teatro, in sintesi, che traduce l’autobiografismo nell’aleatoria concretezza della messinscena. Un percorso personale basato sui classici ospita le vicende dell’imperatore romano, dei senatori e della moglie Cesonia con l’idea di rimescolare ruoli e funzioni degli attori in scena per giungere sempre ai medesimi assunti: la dolce follia dell’estetismo contrapposta alla brutalità del quotidiano, la sconfitta delle responsabilità come dialogo privilegiato con lo Spirito. Presentato nel corso dell’ultima edizione del Forte Teatro Festival, il lavoro prodotto dal Castello di Sancio Panza non si lascia condizionare dai limiti di spazio del Teatro Vittorio Emanuele per dispiegarsi con gli stessi presupposti messi in atto a San Jachiddu: a mutare è la struttura, con il Caligola collettivo del Forte (con una predominanza di Gianluca Cesale) rimodellato sui tempi e i modi di Monia Alfieri in un percorso che si allontana dalla classicità per approdare alle suggestioni pop del cinema e degli anime giapponesi. La vox populi compressa nelle figure di senatori e attendenti (Ferruccio Ferrante, Raimondi Brandi e dello stesso Cesale) oscilla tra contrappeso politico e servilismo con gli opportuni effetti comici desiderati; in disparte l’illuso Scipione (Francesco Natoli), ancora alieno dal gioco delle parti che nutre ogni contesa politica e avulso, in uno spiacevole gioco di rimandi, all’opera stessa. Bonaventura disegna un Caligola che ricorda da vicino l’Eliogabalo camp di Alberto Arbasino, con movenze tiepidamente erotiche solo suggerite nel rapporto con la moglie Cesonia (l’ottima Lucilla Mininno): rievocato un esistenzialismo sofferto, dove l’amore per Drusilla è l’ultimo passaggio di una spirale autodistruttiva innescata dalla frustrazione e dall’eccessiva consapevolezza di sé. Brillante, in questa direzione, la scelta di Monia Alfieri, credibile nella ​continua ostentazione di autoritarismo con cui è ammantata la fragilità di un sogno perverso. Menzione a parte per la colonna sonora eseguita dal vivo dai Brothel (Stefano Barbagallo, Giovanni La Fauci, Simone Di Blasi e Antonio Costanzo) per un campionario pop anni Settanta che rispecchia i vezzi, le ossessioni e l’estetica decadente che attraversa l’intera opera.

Mostrocaligola”, mostro per avere troppo amato, reietto di prestigio nella società dell’ordinario. Tra le maglie dell’ossessivo controllo di una società schiava in egual misura di burocrazia e tecnologia, il sonno della ragione genera artisti.

Domenico Colosi

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