"Pastorale", l'apoteosi della natura nella musica danzata di Beethoven

“Pastorale”, l’apoteosi della natura nella musica danzata di Beethoven

giovanni francio

“Pastorale”, l’apoteosi della natura nella musica danzata di Beethoven

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lunedì 12 Ottobre 2015 - 22:06

Splendido connubio di danza e musica nell'opera realizzata dal Maestro belga Micha van Hoecke. Grande protagonista l'Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele diretta magistralmente da Marco Alibrando

Ottimo debutto al Teatro Vittorio Emanuele per lo spettacolo “Pastorale” di Ludwig van Beethoven (“più espressione del sentimento che pittura”), prodotto dal Teatro di Messina ed ideato da Micha van Hoecke, autore della coreografia e della regia. Si è trattato di uno splendido connubio di musica e danza, con l’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele di Messina diretta da Marco Alibrando, il Balletto del National Theatre Belgrade, l’Ensemble di danza del Teatro Vittorio Emanuele “Poiesis”, la partecipazione straordinaria del ballerino Denis Ganio, per i costumi di Marella Ferrera e gli arredi di scena di Paola Lenti.

La sinfonia è stata preceduta da una promenade musicale, un vero e proprio divertissement in cui alcuni solisti si sono esibiti in stralci di composizioni tratte dall’Orfeo ed Euridice di Gluck, dal quartetto per archi di Ravel, da Syrinx e Prélude a l’Après-midi d’un faune di Debussy e dall’Andante e Tema con Variazioni di Rossini, accompagnati discretamente da alcuni danzatori.
Due osservazioni preliminari:
1. Finalmente un balletto accompagnato da un’orchestra dal vivo! Troppo spesso assistiamo a balletti con la musica registrata, e apprendere che è in cartellone anche “Lo schiaccianoci” con l’orchestra del Teatro Vittorio Emanuele ci riempie di gioia.
2. L’acustica del teatro ristrutturato, senza quell’opprimente moquette che rendeva il suono ovattato, ma con al suo posto il legno, ottimo diffusore del suono, è migliorata sensibilmente, ma è grave che si sia atteso tantissimi anni per attuare questo fondamentale intervento!

Dai numerosi scritti lasciati da Ludwig van Beethoven apprendiamo il suo amore incondizionato per la natura, concepita in senso panteistico, come manifestazione di Dio in ogni essere naturale, dagli animali, ai ruscelli, agli alberi che Beethoven diceva di amare più degli uomini. Anche l’uomo non è concepito come “altro” dalla natura, ma come un tutt’uno con essa.
Da questa concezione della natura scaturisce la sua sesta sinfonia, denominata appunto “Pastorale”. Sappiamo che Beethoven soleva spesso fare lunghe passeggiate nei boschi viennesi, dove trovava fonte di ispirazione nei suoni della natura, pertanto ci commuoviamo immaginandolo passeggiare per i boschi nel 1808, anno in cui compose la sua sesta sinfonia, sforzandosi di percepire ancora qualche suono, o più probabilmente di ricordarlo, essendo ormai quasi completamente sordo.
La sinfonia differisce nettamente da tutte le altre del compositore per la sua assoluta serenità, priva di contrasti, – ad eccezione del famoso “temporale”, ove regna sovrana l’armonia. Anche la suddivisione dei tempi è diversa da quella tradizionale di quattro movimenti adottata da Beethoven nelle altre sinfonie: infatti la sesta consta di cinque movimenti, gli ultimi tre da eseguire senza soluzione di continuità.
È stato scritto che trattasi probabilmente del primo esempio ottocentesco di musica a programma, cioè musica descrittiva in senso impressionistico di un avvenimento, che prolifererà numerosa nella seconda metà dell’800. In realtà però è lo stesso Beethoven che, nel sottotitolo alla sinfonia “più espressione del sentimento che pittura”, ci avverte che il suo intento è quello di esprimere il sentimento della natura, non la sua rappresentazione. Questo vale per ogni singolo movimento: il primo, “risveglio dei sentimenti all’arrivo in campagna” ispirato ad un canto popolare croato, fra i più puri ed elegiaci componimenti del grande musicista, con il suo memorabile sviluppo ritmato, dove sembra che tutta la natura si risvegli e danzi rigogliosa; il secondo, “scena al ruscello” articolato in ondeggianti terzine degli archi che raffigurano il fluire di un ruscello, pervaso di una pacatezza agreste, con una nota finale quasi onomatopeica, rappresentata dall’oboe, il flauto ed il clarinetto che mimano il suono degli uccelli. Lo scherzo, “lieta brigata di campagnoli”, una allegra danza di contadini (come siamo ormai lontani dal tradizionale minuetto settecentesco!), interrotta quasi bruscamente da un suono tremolo di violoncelli che annunciano il “temporale” (quarto movimento), che esplode immediatamente, furioso, minaccioso, con una resa orchestrale impressionante nell’imitazione dei tuoni e delle saette (tromboni, ottavini), ed infine, placandosi a poco a poco la tempesta, ecco il corno che annuncia il rischiarare del cielo, l’arcobaleno, ed il canto di ringraziamento dei contadini all’onnipotente, “Canto pastorale: sentimenti di gioia e di riconoscenza dopo il temporale”, un tema semplice, quasi ingenuo, tuttavia indimenticabile nella sua dolcezza, variato magistralmente, un “unicum” nella storia della musica.
Tutte le imitazioni sonore sopra descritte dei fenomeni naturali in realtà sono, nell’intento di Beethoven, rappresentazioni emozionali interiori suscitate dal contatto con la natura.

Micha van Hoecke, con a disposizione due corpi di ballo straordinari, riesce nell’impresa di rendere la danza elemento integrante della musica, che, superfluo ricordarlo, non è stata composta per essere danzata. I movimenti di danza accompagnano mirabilmente la musica senza prevalere mai su di essa, quasi facendo da tramite fra spettatore e musica stessa. Con una coreografia semplice e sobria, il balletto riesce ad interpretare con precisione il sentimento pastorale del linguaggio musicale beethoveniano, in ogni movimento, a volte in modo straordinariamente efficace, come le donne (ninfe?) delicatamente vestite che danzano al ritmo del fluire del ruscello nel secondo movimento, o i danzatori vestiti di nero che danno vita al terribile temporale, mentre gli altri ballerini si rifugiano sotto un enorme, simbolico ombrello, o infine, momento magico dello spettacolo, il sollevare con insistenza le mani al cielo della danzatrice, alla fine del temporale, in segno di ringraziamento.

Grande protagonista l’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele, diretta magistralmente da Marco Alibrando, orchestra apparsa amalgamata, corretta, che ha saputo interpretare lo spirito della sinfonia, raggiungendo livelli esecutivi ragguardevoli, in particolare, ci è sembrato, nel secondo movimento e nello scherzo, mentre nel finale a volte il meraviglioso tema è stato in parte sopraffatto dall’accompagnamento ritmato degli archi. Comunque un’orchestra dimostratasi all’altezza dell’arduo compito (non è mai facile eseguire Beethoven), con elevate potenzialità, la quale per troppo tempo non è stata messa in condizione di esibirsi con regolarità, ma sembra la volta buona. In definitiva una perfetta interazione fra le due forme artistiche che ha reso omaggio a quello che è probabilmente il più elevato tempio mai eretto da un artista alla natura.

Giovanni Franciò

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