“Eneide”, ciascuno patisce la propria ombra

“Eneide”, ciascuno patisce la propria ombra

Tosi Siragusa

“Eneide”, ciascuno patisce la propria ombra

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martedì 16 Agosto 2016 - 22:05

La dolente Didone si fa quasi una delle Erinni: non delude Silvia Siravo nella rivisitazione del classico virgiliano firmata da Matteo Tarasco. Riflessioni a cura di Tosi Siragusa

Nella serata del 12 agosto presso la Villa Romana di Patti si è svolta la seconda rappresentazione in programma per il Tindari Teatro Festival, “Eneide”, diretta da Matteo Tarasco, una sorta di rivisitazione di testi a tema, da Virgilio, Ovidio e Marlowe. Avrebbero dovuto calcare le scene – nello spazio antistante il sito archeologico – oltre a Silvia Siravo, anche Giulia Innocenti e Francesca Golia, quali ulteriori interpreti della pièce.

L’epopea dell’Eroe, mitico protagonista del poema, avrebbe dovuto essere mediata attraverso le storie di tre personaggi femminili fondamentali in quel contesto: Creusa, la moglie, dispersa durante l’incendio di Troia e la fuga dall’assedio greco; Didone, regina di Cartagine, che accoglie il profugo e lo conforta amorevolmente, tradendo la memoria del defunto consorte Sicheo, venendo poi abbandonata e, tradita e dolente, destinata a perire sulla spada donatale da Enea; infine la Sibilla Cumana, che apre ad Enea le porte del mondo infero, svelandogli profeticamente il glorioso futuro e il suo ruolo di capostipite della stirpe romana. Per problematiche sicuramente legate a personali contrattempi, unica voce recitante è rimasta però la Siravo, che ha comunque validamente intrattenuto il pubblico presente, nelle vesti di Didone. Nella rappresentazione l’Eroe è messo a nudo nelle sue più intime fragilità, per generare, forse, una nuova ideologia virile, che si pasce delle componenti di genere femminile. Una buona prova e uno spunto aggiuntivo per penetrare la figura di Enea, il “pio”, connotato cioè dalla pietas, che non gli impedisce però di essere utile strumento di un progetto glorioso, e anzi, proprio a servizio di questa finalità, di divenire progenitore della stirpe italica (la gens Iulia) sacrificando chi non è funzionale all’obiettivo. Certo una rinnovata visione, quasi antieroica, del mitico personaggio virgiliano, attraverso la figura della regina africana, poi ripresa da Ovidio nelle Heroides e da Marlowe in una sua opera giovanile e nelle frequenti trasposizioni contemporanee. Del resto, come sapientemente messo in luce dal regista, l’Eneide stessa è omaggio virgiliano all’amico Augusto, e certo il poema risente delle motivazioni sottostanti la sua genesi.

I costumi molto insoliti di Chiara Aversano, pur se minimalisti, hanno contribuito a restituire – con quel rosso – l’atmosfera di rabbia – forse eccessiva – che circonda qualunque donna vilmente abbandonata; Didone non è più dunque regale, divenendo, più che dolente, rabbiosa, o meglio alternando i registri. La scenografia a servizio del paesaggio, con il ricorrente espediente del ritrovamento di lettere e l’uso delle luci – ove ha campeggiato il rosso – sono stati da riferire allo stesso regista. Le musiche, solo registrate, sono state invece assolutamente secondarie nella resa del prodotto artistico: in realtà più suoni d’atmosfera che veri momenti sonori. Il sottotitolo infine, rimanda probabilmente al tema della doppiezza, insito nella natura dell’uomo.

Tosi Siragusa

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