La migrazione di massa e le sue correlazioni. Uno spaccato coraggioso.
Il testo molto forte di Anders Lustgarten, già forte dell’acclamata messa in scena londinese, è stato rappresentato dal 15 al 17 dicembre presso il teatro cittadino nella traduzione italiana di Elena Battista, con scene e costumi, assolutamente minimalisti, di Alvisi Kirimoto, luci di Stefano Valentini e musiche originali di Aleph Viola. La migrazione di massa è stata indagata sotto aspetti apparentemente marginali, che esprimono i punti di vista, lo sguardo anzi, di due personaggi che ne vivono, in maniera differente, alcune conseguenze: come Stefano che, attraverso il recupero dei corpi degli annegati, riesce a sopravvivere, poiché per un pescatore siciliano, come lui, da quel mare non si può più attingere alcun prodotto di pesca, e come Denise, probabilmente figlia di un’immigrata di seconda generazione, studentessa marocchino–italiana, che si mantiene agli studi svolgendo l’attività – molto ingrata per chi la subisce – di esattore per una società di prestiti.
E così Stefano in quel mare depredato (che è parte di un Mediterraneo ormai morto) non può che divenire pescatore di cadaveri, mestiere parecchio redditizio in quel di Lampedusa; Denise, invece, che recita il ruolo della dura, parrebbe interessata solo a migliorare il proprio status attraverso un lavoro che oltrepassa con cinismo le disgrazie altrui. Le connessioni fra quelle due esistenze appaiono labili fino alla fine della piece, ma sono in realtà ben rintracciabili in un fulcro comune, consistente nella circostanza che i due soggetti hanno a che fare con una umanità ai margini e in quell’identica condizione di riscatto morale, nella pur tardiva sopravvivenza della speranza nei due individui, che finalmente riescono a reagire all’abitudine di confrontarsi quotidianamente con morte e miseria, che erano fin lì divenute quasi la normalità (e per questo non li indignavano più) riscoprendo l’empatia e i gesti di carità e amore, senza motivazioni razionali. Ciò detto, non convince pienamente la regia, con adattamento di Gian Piero Borgia, che conduce ad una rappresentazione che rimane quasi per tutto il tempo volutamente slegata, troppo frammentata, evidenziata come è da quell’alternarsi sulla scena dei monologhi, che forse volutamente vorrebbero essere quasi autistici: soprattutto l’interpretazione della marocchina, che si parla addosso, solo apparentemente rivolgendosi al pubblico con un linguaggio spesso incomprensibile, riesce pesante da introiettare.
È apparsa come un’occasione mancata, questa opera teatrale, prodotta da BAM Teatro, ma è meritevole sicuramente il testo, che affronta – anche se in una sfaccettatura insolita – l’incubo delle democrazie europee ormai al tracollo, con il livello di urgenza della migrazione di massa mai del tutto seriamente affrontata: la piece non è solo litania della disperazione, ma lascia meritatamente intravedere una realtà innegabile, e cioè che dietro quelle che possono apparire vuote statistiche di annegati o travisate notizie su benefici accordati a danno degli europei a quegli stranieri, ci sono esistenze che hanno conosciuto nei luoghi di appartenenza inimmaginabili tragedie, prima di provare a fuggire. E Denise, comunque portata in scena con maestria da Donatella Finocchiaro e Stefano, ben rappresentato da Fabio Troiano, alfine, sono quasi colpiti dall’avvento della speranza, con quest’ultimo che entra in contatto con un meccanico del Mali, vivendo con lui l’ansia per l’arrivo della moglie, e Denise che riuscirà inaspettatamente a riscoprire la compagnia di una portoghese, che è madre single, e oberata dai debiti. Il punto forte della rappresentazione è proprio questo, il lasciare intendere che se nulla possono – o fin qui hanno potuto – i disastri sistemici della politica e delle nazioni, potrebbero, anche se solo in minima parte, supplire le individuali gentilezze, e le feroci discussioni che in ambito europeo, ad esempio, evidenziano le intransigenze e i particolarismi, le sfide reciproche, che divengono divisive e creano metodi inefficaci, dovrebbero comunque alfine riuscire a convergere, nell’interesse di tutti, sottolineo, nella ricerca di un sistema veramente efficace per fermare il flusso dei migranti, senza per questo ricominciare a erigere muri e lager nei paesi di provenienza.
La paura dell’altro non potrà continuare a dominare, alimentata dallo spettro degli attentati nel cuore delle nostre città, ma ciò non cesserà fino a che non si accetterà la mescolanza delle culture, combattuta invece in nome del rispetto delle proprie tradizioni e se le geografie politiche continueranno a rivendicare i perimetri nazionali. Quest’opera teatrale è per questo la benvenuta, e infatti è stata accolta con favore dal numeroso pubblico presente, convenendo che ha comunque espresso una pluralità di stratificazioni di senso e interpretazione, con un testo audace e spesso disturbante.
Tosi Siragusa