Viaggio alle origini del rione Avignone, oggi al centro di polemiche
Il rione Avignone è una delle ultime zone di Messina a conservare ancora pezzi quasi intatti del capoluogo peloritano prima che venisse distrutto dalla natura e dalla barbarie. La zona si chiama così perché vi erano situate le casette appartenenti agli Avignone, Mignuni per la storpiatura popolare.
Questa storia inizia con coloro che le diedero il nome. Gli Avignone costituiscono un’illustre casata messinese – il cui capostipite fu Pompeo Avignone a inizio Seicento – divenuta nobile con il giurista Nicolò Avignone per acquisizione nuziale; più avanti, tramite un ulteriore legame matrimoniale con i Mazzeo di San Teodoro nel Settecento, divennero Marchesi di San Teodoro. Fu il Marchese Antonio Avignone, alto ufficiale militare, a finanziare la costruzione di un’intera zona abitativa destinata a ospitare gli indigenti: le Case Avignone, appunto.
Il Quartiere Avignone fu costruito poco fuori dal perimetro storico di Messina, ossia l’area racchiusa dall’antica cinta muraria rifatta per l’ultima volta nel Cinquecento sotto Carlo II d’Asburgo Re di Sicilia (Carlo V Imperatore) e i cui resti ancora oggi sono nominati con riferimento al sovrano. Fuori le mura, da un lato e dall’altro di Via Porta Imperiale (Via Cesare Battisti), la zona era perlopiù rurale e riaffioravano talvolta le antiche necropoli sepolte sotto il terreno.
Considerato il periodo di costruzione, il quartiere forse adottava il sistema d’edificazione antisismica progettato dopo il terremoto disastroso 1783, che nel 1908 salvò molte strutture poi distrutte del tutto dalla barbarie istituzionale del tempo.
Il sobborgo è legato anche all’immortale figura del sacerdote cattolico anch’egli nobile Annibale Maria di Francia, oggi santificato, che visitò le Case Avignone addentrandosi fra la povertà lacerante e l’ignoranza più buia (ndr. le case presso le quali si recava Sant'Annibale erano situate dove oggi c'è l'istituto antoniano, mentre quelle oggi oggetto di polemica sono nobiliari). Nella porzione oltre il ponte Zaera sul torrente Camaro (Viale Europa) le persone vivevano come animali, senza le parvenze di una qualche forma di moralità, come se veramente quel caseggiato fosse maledetto e dimenticato dall’Onnipotente. Nonostante ciò, Padre di Francia fu risoluto nel risollevare quella gente grazie a molte attività di beneficienza, spinto dallo spirito di carità che gli era proprio: portò cibo, pace e istruzione.
Questa parte di Messina non è prestigiosa, né monumentale: della Messina del Grand Tour questo è un residuo scarno, ecco cosa possiamo dire. Ma questo residuo scarno è lo stesso che ha racchiuso la grandezza dei nobiluomini che l’hanno beneficiata, possenti incarnazioni dell’autentico ideale aristocratico che dovrebbero essere modelli di dedizione societaria per i cosiddetti “nuovi nobili” di oggi. Le case del 700 di costruzione nobiliare dell'area devono essere tutelate sebbene finora poco o nulla sia stato fatto dalle istituzioni.
È questo carico affettivo a rendere complesso oggi il dilemma sulla sorte di ciò che rimane delle Case Avignone: è meglio la preservazione o il mutamento?
Daniele Ferrara
sarò breve….meglio preservare
senza storia non c’è né presente né futuro e Messina ha bisogno di far conoscere la propria storia ai suoi tanti smemorati cittadini di oggi
Posso anche sbagliarmi, ma non mi risulta che questo marchese Avignone fosse un benefattore, ma piuttosto che lucrasse affittando questi alloggi ultra-popolari a gente misera e malfamata. Capisco che sarebbe una memoria storica, ma mi pare che ora si stia esagerando parlando di “valore architettonico”. Che ne direbbe padre Annibale Maria Di Francia, che tanto fece per i poveretti che vi abitavano, cercando di sottrarre i giovani a quel mondo dominato dal vizio? Una ricostruzione di quelle abitazioni è visibile nel sotterraneo del Santuario di S. Antonio
Andrea. A quel che ricordo, detto dai miei nonni paterni, via Porta Imperiale n. 221, gli abitanti delle case mignuni, mai sentito dire questo marchese Avignone, pagavano seralmente ad un incaricato del proprietario un soldino, appunto un mignon. Mai saputo di beneficenza, di chi ed a chi.