Messina vanta una glorioso passato anche rispetto alle altre città dell'isola, ma spesso ce ne dimentichiamo.
Ci sfugge nella realtà quotidiana come Messina sia stata a lungo la più illustre fra le città siciliane. Perenne era il duello fra Messina e Palermo per quale dovesse essere capitale di Sicilia, che se nelle argomentazioni vedeva vincitrice la Peloritana, sul piano politico si concluse con la vittoria della Conca d’Oro.
A testimoniare la grandezza di Messina ci sono i suoi simboli, molti di più di quanti ne abbiano le altre città siciliane. Vogliamone esaminare alcuni.
Il più antico è la Falce. Essa era l’arma di Saturno, usata dal dio del tempo per evirare il Padre Cielo e separarlo dalla Madre Terra, dando inizio alla Storia. Si diceva che la Falce gettata in terra sia divenuta la penisola detta Prato, primo nucleo della nostra città, che in lingua sicula si chiamava Dankle: “falce”; un’altra versione vuole che la penisola non fosse ma nascondesse l’arma, infatti in età ellenistica vi era ancora un santuario che custodiva la reliquia. La Falce poi divenne la raffigurazione stilizzata della città nei sigilli, come ancora oggi è nel logotipo dell’Università degli Studi di Messina.
Quando la città ebbe il nome di Messina (Messanion) dal Tiranno Anassila di Reggio, s’iniziò a usare il Monogramma, la M, un’usanza molo in voga nel Mediterraneo oggi come allora.
Raro ma forte è il segno delle Tre Torri: secondo la tradizione era l’emblema dei Mamertini e ha rappresentato Messina per secoli; si rifaceva alle antichissime posizioni fortificate del Castellaccio, del Palazzo Reale e di Rocca Guelfonia. Nel Cinquecento le Tre Torri furono dipinte in campo verde sullo scudo del gigante Grifone dove tutt’ora le vediamo.
La formula Gran Mirci (“molte grazie”) scritta nei cancelli di palazzo Zanca è ciò che avrebbe detto un Imperatore Romano d’Oriente (probabilmente non Arcadio come si dice) quando i soldati messinesi lo aiutarono in battaglia contro le orde venute dal Nord; si dice che abbia conferito a Messina il proprio personale stendardo, che qualcuno riconosce nella croce aurea su campo rosso (similissima a quella della dinastia dei Paleologi), che tutt’oggi è nello scudo stemma del Comune di Messina; altri dicono che Gran Mirci lo dicessero i francesi risparmiati durante la Guerra del Vespro.
Un simbolo medievale svanito è l’Aquila Bicipite, emblema del Sacro Romano Impero, che fu donato a Messina insieme a svariati privilegi dall’Imperatore Enrico VI d’Hohenstaufen, marito di Costanza I d’Altavilla, Regina di Sicilia. Se ne appropriò la marina messinese, le cui navi iniziarono a inastare bandiere con un’aquila nera a due teste su sfondo bianco nei loro viaggi avventurosi in terre lontane.
Il Leone Rampante è un'altra immagine medievale. Non si pensi a un felino esotico, ma piuttosto a uno nostrano, il leone di caverna (l’ultima Panthera leo spelaea) che fino pochi millenni fa viveva in Europa. Il Leone simboleggia l’estrema ferocia con cui Messina affrontò le truppe angioine e fu usato come stemma delle Terre Distrettuali di Messina. Fert leo uexillum Messanae cum cruce, si legge ancora sullo stendardo della Provincia di Messina sotto all’effigie leonina, e proprio il leone nella torre del Duomo con il suo ruggito possente sveglia il meccanismo dell’orologio.
Nessuno dimentichi: Messina la crearono gli dei e gl’imperatori la onorarono.
Si ringrazia il professor Franz Riccobono per l’essenziale collaborazione e per gli antichi documenti messi a disposizione per l’immagine soprastante.
Daniele Ferrara