L'analisi dell'ex consigliere comunale sul dibattito in corso su partecipate e conti. "Quello dell'Atm era stato definito un percorso virtuoso ma è apparso solo come un bel racconto al quale tutti hanno voluto credere"
Chiunque sia abituato a far debiti sa bene che il diritto a contrarne è garantito solo dal fatto che ogni tanto qualcuno lo copra. Le fantasie di tanti teorici del debito s’infrangono sulle carenze di solvibilità che, se non realizzata, deve essere almeno allusa. Bisogna avere credito per mantenere la possibilità di continuare a far debiti. Le politiche del debito, insomma, sono politiche del credito o, almeno, della suggestione dello stesso. Bisogna far credere di avere crediti attesi. E’ così che funzionano i bilanci pubblici. Una piramide del credito nella quale ogni istituzione rimanda a quella superiore.
Le società partecipate sono state per anni rifugio per l’accumulo di debiti. Ad esse ha fatto ricorso la politica per continuare a lucrare sul pubblico. L’emersione dei debiti contenuti nei bilanci delle società partecipate è stata così una delle ragioni fondamentali della via del dissesto per parecchi enti locali. Il ruolo giocato dalle perdite delle Società di trasformazione urbana del Comune di Parma è esemplare da questo punto di vista. Il Comune di Messina non ha fatto eccezione e il caso di Messinambiente è stato preso come il simbolo della cattiva gestione che ha condotto l’azienda in liquidazione.
L’ATM, al contrario, è stata portata a modello per la rinascita della città, ma a ben guardare le cose sono emerse nella loro verità e quello che veniva narrato come un percorso virtuoso di risanamento aziendale, unico fiore all’occhiello per un’amministrazione (quella guidata da Accorinti) per il resto totalmente fallimentare, è apparso, realisticamente, come un bel racconto cui tanti hanno voluto credere. In effetti, nel caso della società del trasporto pubblico locale messinese l’accumularsi dei debiti è stato coperto, almeno in parte, da un incremento dei crediti tutto da verificare.
Nel bilancio consuntivo 2016 dell’ATM, l’ultimo approvato, i crediti ammontano a 34.006.151 euro.
Dal 2013, anno di insediamento dell’amministrazione Accorinti, si assiste ad incremento progressivo. Nel 2013 essi erano, infatti, 19.451.712, nel 2014 19.589.779 e nel 2015 28.604.151. Il credito è così suddiviso: 2.839.779 verso clienti, 7.690.077 verso controllante (Comune), 3.903.766 sono crediti tributari e 19.573.529 verso altri. A 10.218.636 ammontano i crediti per mancata contribuzione sul chilometraggio (in questa logica un po’ meschina di far chilometri magari con gli autobus vuoti per prendere soldi pubblici) da parte della Regione e 9.810.636 sono quelli relativi alla mancata erogazione da parte dello Stato degli oneri derivanti dal CCNL autoferrotranvieri ex l. 58/05, l. 296/06 e l. 47/04. La prima di queste ultime due voci era di 5.307.469 nel 2013, 5.790.936 nel 2014 e 8.457.521 nel 2015. La seconda voce era di 6.599.919 nel 2013, 6.651.474 nel 2014 e 8.352.021 nel 2015.
Il progressivo incremento di questi crediti iscritti a bilancio tradisce la loro difficoltosa riscossione.
Ciò che, però, stupisce ulteriormente è la riduzione progressiva dell’ammontare del Fondo rischi sui crediti, obbligatorio per legge a copertura della eventuale inesigibilità. Quello relativo ai crediti versi clienti passa progressivamente da 764.026 euro nel 2013 a 58.575 nel 2016. Il Fondo rischi su altri crediti, invece, nel 2013 ammonta a 1.072.056 per arrivare gradatamente a zero nel 2016. Nell’ultimo bilancio consuntivo viene esplicitamente scritto che le differenze tra valore iniziale e valore a scadenza non siano rilevanti finanziariamente. Inutile aggiungere che sono gli stessi revisori dei conti dell’ATM a segnalare il consistente incremento dei crediti e dei debiti tributari e previdenziali.
Per tanto tempo abbiamo chiesto un audit del debito del Comune di Messina. Non tanto o non solo per verificarne con certezza l’entità, quanto per individuarne la parte illegittima, ingiusta, odiosa e, magari, provare ad individuarne le responsabilità e a non risarcirlo. Alla fine l’audit ce lo siamo dovuti fare da soli e abbiamo dimostrato come fossero fantasiose le descrizioni narrate dall’amministrazione. Appare comico che sia proprio l’ex assessore Cacciola oggi a chiedere un audit per i debiti dell’ATM. Chissà, forse potrebbe non convenirgli. In ogni caso, una indagine più approfondita sull’andamento della sua gestione renderebbe visibile i modesti risultati ottenuti. Basti pensare che il rapporto tra ricavi e costi di produzione, che per legge dovrebbe essere non meno del 35% e che nella media nazionale delle aziende di TPL nelle quali il pubblico abbia almeno il 30% delle quote è del 38%, per l’ATM è del 17,4% se ci mettiamo dentro anche i titoli di sosta. Se si considerasse solo lo sbigliettamento il risultato sarebbe del 9,4%. A prendere per buoni i bilanci pubblicati sul sito dell’azienda ci sarebbe un modesto incremento del 3,2% dal 2013 e un decremento del 1,6% dal 2010.
E’ evidente che il trasporto pubblico locale debba avere un costo sociale. E’ così per tutti i servizi pubblici che non possono e non devono essere considerati fonte di profitto perché la loro finalità è migliorare la vivibilità della città e sostenere le fasce di popolazione che non potrebbero accedervi se si facesse un mero calcolo entrate/uscite. Questo, però, non vuole dire che i soldi pubblici debbano essere spesi in maniera sconsiderata. Sono risorse preziose che, se investite in un servizio, magari vengono sottratte ad un altro. Inoltre, la migliore garanzia di tenuta delle aziende pubbliche sta nella loro qualità. E’ evidente che averle rese, a causa di corruzione, clientele e sperpero di denaro pubblico, carrozzoni insostenibili apre la strada a proposte di privatizzazione. D’altronde, una società può essere considerata pubblica solo se sottoposta ad un reale controllo pubblico. Società pubbliche in mano a consorterie partitiche e gruppi d’affari collaterali al pubblico sono da contrastare tanto quanto quelle private. Nei fatti, sono pubbliche solo formalmente.
Il dibattito su tram sì/tram no va inquadrato dentro questa prospettiva. Sostenere, come qualcuno di recente ha fatto, che il tram non sarebbe in perdita in quanto a fronte di uno sbigliettamento di 800.000 euro e un costo complessivo operativo di 5,4 milioni di euro incasserebbe 1,2 milioni di contributo regionale, 230.000 euro dal Ministero e 3,9 milioni dal Comune è singolare. E’ evidente che se ci metti dentro un’enorme quantità di risorse pubbliche il bilancio del singolo servizio appare in attivo, ma questo non ha nulla a che fare con la sua sostenibilità economica. A zero stanno pure le posizioni a carattere ideologico di difesa del tram a prescindere. Il tram ha un senso se libera la città dal traffico veicolare, se la rende più vivibile. Se, con l’impatto che ha in termini di occupazione suolo si aggiunge alle auto, se le rimpicciolite vie del centro sono occupate dalle macchine in tripla fila e da autobus che camminano paralleli alla direttrice del tram, non ha più senso, diventa un’emorragia finanziaria senza contropartite in termini di vivibilità. Questa verrebbe garantita da una forte disincentivazione del traffico veicolare nel centro città, da un rafforzamento della direttrice del tram, cui andrebbero aggiunti gli autobus elettrici, che dovrebbe essere raggiunta dai bus che servono soprattutto le zone periferiche e i villaggi. Sarebbe una sfida, per chi ha il coraggio di assumersela, che forse potrebbe mettere insieme sostenibilità finanziaria e ambientale.
(Gino Sturniolo)