Al Teatro Savio di Messina lunghi applausi per Ninni Bruschetta e Cettina Donato ne Il mio nome è Caino per la regia di Laura Giacobbe, un nuovo adattamento di Bruschetta che nel 2003 aveva già messo in scena una precedente versione del testo, con diverso cast ed in qualità di regista. Lo spettacolo è ispirato all’ omonimo romanzo di Claudio Fava, presente in sala alla prima, ed è prodotto da Maurizio Puglisi per Nutrimenti Terrestri.
Sabato 23 e domenica 24 marzo 2019, per la stagione “Aria Nuova in Me” curata da Davide Liotta di ARB, la gremita platea del Teatro Savio in Via Peculio Frumentario a Messina ha incontrato Caino, uomo e killer. Sul palcoscenico, un prestigioso pianoforte Beichstein ed un antico mobile bar degli anni quaranta, pezzo unico nelle essenziali scene di Mariella Bellantone. In un tempo che corre veloce, fittissimo e che lascia col fiato sospeso, un mafioso narra sé stesso. È Caino, non un assassino ma soltanto un “amministratore della morte, che è un’altra cosa”.
L’intesa interpretazione di Ninni Bruschetta restituisce il percorso di vita e le riflessioni estreme di un uomo, figlio e nipote di capomafia, in smoking e papillon, l’intramontabile nero che Cinzia Preitano sceglie per i costumi dei due artisti in scena. Il mio nome è Caino mette in luce le dinamiche dell’essere e del fare mafioso in una visione del tutto lucida che si intreccia alle musiche composte ed eseguite dal vivo dalla pianista, compositrice e direttore d’orchestra Cettina Donato. Due brani editi insieme a composizioni concepite appositamente per sostenere il racconto di Caino e che si lasciano attraversare da contaminazioni classiche, popolari e jazz.
Le musiche composte dal M° Donato, risultato di uno studio condiviso con l’interprete, sono eco non soltanto dell’immediata freddezza ma anche del volto umano del protagonista per assecondare quella modulazione emotiva che inevitabilmente assale Caino, la bestia, il peccato, la bestemmia. Dal primo omicidio consumato ai danni di un amico fraterno sino alla morte del protagonista, un destino già scritto trova il suo esatto compimento nella regia attenta ed asciutta di Laura Giacobbe. Con “la pazienza che è la misura del tempo” e con l’ironia miscelata alle molte espressioni dei personaggi evocati, Ninni Bruschetta/killer mette in scena le contraddizioni del suo Caino e si abbandona anche al canto, sulle suadenti note di “My Funny Valentine”.
Sorretta dai giochi di luce e di ombra curati da Renzo Di Chio e dal disegno sonoro di Patrick Fisichella, questa partitura in note e testo drammaturgico si sofferma su questioni antiche del fenomeno mafioso, sul timoroso rispetto, l’omertà e la sanguinaria disciplina frutto della dolente e caratteristica normalità del male, celebrata in questo monologo che ha più i connotati di un western.
Le note di regia di Laura Giacobbe: “Caino è il killer di mafia che al comando ha preferito l’amministrazione rigorosa della morte, qualcosa che somiglia a un mestiere ma che è anche una impietosa chiave di lettura dell’universo mafioso e delle sue opache propaggini, un personaggio fuori dalla cronaca, costruito interamente all’interno della coscienza. Un “pensiero fuori posto” muove il suo racconto, assoluto, spietato, estremo, senza margini di riscatto. Fuori posto è anche il suo raccontare, a tratti straniato dalla vertigine dell’azione, oppure ingoiato dalla musica che lo sostiene, che improvvisa e improvvisando spinge Caino a cercare ancora un altro tono, un altro modo per dire, fuori tempo massimo, quando è troppo tardi per raccontare e tutto suona come una dolente deposizione resa a se stessi”.
Su Il mio nome è Caino, parla Ninni Bruschetta: “In poco più di dieci anni ho messo in scena quattro titoli di Claudio Fava, in qualità di regista. Tutti testi di impegno civile, narrazioni di fatti o avvenimenti realmente accaduti o interpretati secondo una logica di verità. Poi ho deciso di portare in scena “Il mio nome è Caino” interpretandolo in prima persona perché in questo racconto di fantasia e realtà, mirabilmente mischiate, credo che si esprima, in tutta la sua forza, la poetica dello scrittore ma anche del testimone. Un testimone diretto e anche vittima della furibonda guerra di mafia siciliana, che in questo testo mette a frutto questa testimonianza per saltare al di là della staccionata e proiettarsi nella mente di un killer. E se prima ne interpreta il maleficio e la follia, poi riesce a riconoscere in lui anche una normalità, una formazione, una cultura e persino un mestiere. Usa la sua contorta morale per avvicinarci al pensiero del male che, in ogni caso, non figura così distante da noi. Affrontare questo testo da attore mi è sembrato necessario proprio perché esso richiede all’interprete la più rigorosa “sospensione del giudizio” per poterne restituire la crudeltà, la freddezza e persino l’ironia. E ancora di più perché questo personaggio ha una sua normale, direi naturale umanità, la sua mente viziata ha una folle ma sorprendente sensibilità e mostra il lato più debole del male, finendo di fatto per decretarne la sconfitta”.