I dettagli delle indagini, la verità di Minardì e l'omertà a Giostra

I dettagli delle indagini, la verità di Minardì e l’omertà a Giostra

Alessandra Serio

I dettagli delle indagini, la verità di Minardì e l’omertà a Giostra

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mercoledì 18 Settembre 2019 - 17:12

La pistola inceppata ha salvato Cuscinà o il pregiudicato ha provato a reagire e depistare le indagini? Tutti i dettagli dell'inchiesta dei Carabinieri

L’accusa è di tentato omicidio: la vittima è stata colpita al braccio e al torace, segno che i sicari hanno mirato agli organi vitali e soltanto perché probabilmente la pistola si è inceppata l’obiettivo predestinato si è salvato. In realtà per gli investigatori ricostruire com’è avvenuto nel dettaglio il ferimento di Francesco Cuscinà, il 25 agosto del 2018, non è stato semplice e molti punti sono ancora oscuri. (leggi qui la sparatoria)

Un berretto bianco e dei bastoni di legno sporchi di sangue. E’ tutto quello che i Carabinieri hanno trovato, vicino al bar Micali a Giostra. Per il resto, malgrado qualcuno avesse avvisato che in precedenza erano stati sentiti degli spari, non c’era davvero traccia di quello che poteva essere accaduto. Soprattutto, non c’era chi quel sangue poteva averlo perso. A terra non c’erano bossoli né ogive, quindi o era stata adoperata un’arma a tamburo, oppure qualcuno aveva già ripulito tutto.

Un attimo dopo, però, al Piemonte un uomo era arrivato con ferite al torace e alla spalla, che sembravano proprio colpi di pistola. Poco prima era stato alla Guardia Medica del Mandalari, dove lo avevano però dirottato all’ospedale perché le ferite erano serie, e richiedevano punti di sutura. La vittima era appunto Francesco Cuscinà, 63 anni, uscito soltanto un anno prima dal carcere, dove aveva scontato 6 anni. Un nome di spessore, nella criminalità di Giostra, per gli investigatori attivo soprattutto nel mondo della droga. Quando i carabinieri hanno chiesto spiegazioni ha quasi provato a negare che qualcuno gli avesse sparato, poi messo alle strette ha ammesso un’aggressione, dicendo che però era avvenuta in via Palermo. I suoi aggressori? Non era stato in grado di riconoscerli. Come si erano avvicinati? Lui non si era neppure accorto che gli avevano sparato!

Insomma, Cuscinà ha tentato di depistare le indagini, più che difendersi dietro un muro di omertà. Che volesse in qualche modo proteggere anche se stesso? Forse gli aggressori si erano avvicinati armati e lo avevano “soltanto” minacciato ma lui aveva reagito ed era partita la sparatoria? Poi i bastoni: non essendo riusciti ad ucciderlo perché la pistola si era inceppata, uno dei sicari ha adoperato i bastoni per finirlo o, al contrario, li ha usati Cuscinà per difendersi? Forse era stato lui stesso a “bonificare”la scena. Certamente ha negato fino all’ultimo che quel berretto bianco insanguinato fosse il suo e, scopriranno poi gli investigatori, si è cambiato, liberandosi dei vestiti macchiati di sangue, prima di presentarsi in ospedale.

Un agguato mortale sventato soltanto perché la pistola si è inceppata, quindi, o un chiarimento finito male? Sarà ora il prosieguo delle indagini a chiarirlo.

Malgrado le difficoltà a trovare tracce, a caldo, gli uomini del capitano Paolo De Alescandris, comandante della compagnia Messina Centro, ci hanno messo però poco ad imboccare la strada giusta. Un paziente lavoro di visione delle immagini di sorveglianza della zona ha infatti permesso di trovare i filmati che immortalavano Cuscinà mentre percorreva il viale Giostra, seguito a ruota da un motociclo con a bordo due uomini, uno più robusto ed alto e uno più mingherlino, il volto coperto dai caschi. La descrizione possibile li ha subito indirizzati verso alcuni sospettati, e le intercettazioni telefoniche hanno fatto il resto.

Quando gli investigatori avevano già individuato i due autori, le dichiarazioni di Giuseppe Minardi hanno fatto il resto. L’ex boss, condannato a 30 anni, alla fine del 2018 dell’omicidio di Domenico Cutè, parente stretto del giovane Paolo arrestato oggi, ha scelto di pentirsi e poco dopo ha raccontato alla Procura di Messina di aver saputo mentre era in carcere della sparatoria di agosto. Un parente detenuto gli aveva svelato i nomi dei due autori e aveva commentato che era un bene che in quel momento Minardi fosse detenuto, perché “fuori c’era un casino”. Per Minardi, il perché del ferimento è tutta da ascrivere a dinamiche interne al clan di Giostra, contrasti tra personaggi di spicco che volevano tornare a dire la loro ed emergenti. In un momento in cui, con i capi storici e i reggenti dietro le sbarre da tempo, il gruppo è senza un vero e proprio punto di riferimento riconosciuto.

Quando le dichiarazioni di Minardi sono arrivate, le intercettazioni dei carabinieri avevano già svelato loro molto. Le cimici dei militari avevano per esempio “sentito” i Cutè cercare la mediazione con la vittima. Un tentativo di riconciliazione a cui Cuscinà non aveva chiuso la porta, anche perché il motivo scatenante sarebbe stato poco più che “una sciocchezza”.

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