La grande commedia partenopea sarà in scena l’8 e il 9 novembre al Teatro Vittorio Emanuele di Messina.
MESSINA – Un’atmosfera scura e tetra, fatta di gabbie e barriere fisiche ma soprattuto simboliche, nel primo tempo, si contrappone ad un’atmosfera bianca, luminosa e sfarzosa, nel secondo. Il dramma della povertà, nel primo tempo, e l’illusione della ricchezza nel secondo. Una miseria purtroppo sempre attuale, presentata con leggerezza e allegria, in mezzo a spontanee risate che, però, vogliono far riflettere.
È la tragicomica storia di Felice Sciosciammocca in “Miseria e nobiltà”, la celebre commedia partenopea che arriva in Sicilia, grazie all’agenzia messinese Euphonya Management.
Scritta da Eduardo Scarpetta, nel 1887, vede, adesso, la regia e l’adattamento di Luciano Melchionna, con un eccezionale Lello Arena per protagonista. L’8 e il 9 novembre al Teatro Vittorio Emanuele di Messina e il 10 novembre al Teatro Tenda di Ragusa.
“La vita può stare sia di qua che di là della tenda rossa” afferma Lello Arena nei panni Felice Sciosciammocca e così lo spettatore si sente catapultato in quella vita, in quella storia e in quella miseria, prima ancora che si alzi il sipario. Tra il pubblico che entra in sala si aggira, infatti, Peppeniello a porre domande e richiedere informazioni, introducendo a tutti il suo mondo.
Il mondo di Felice e di Pasquale che, caduti in povertà, portano avanti una vita di stenti con le loro famiglie, tentando di racimolare, con grosse difficoltà, qualche soldino.
Finché il marchesino Eugenio chiede il loro aiuto. Innamorato di Gemma, ballerina del San Carlo, figlia di un cuoco arricchito, vuole sposarla, ma la famiglia ne ostacola il matrimonio per le umili origini della ragazza. Per tal motivo chiede loro di vestire i panni della sua nobile famiglia e recarsi a casa del padre dell’amata per benedire questo amore. Ma, una volta arrivati nella sontuosa dimora, la situazione si complicherà incredibilmente.
La commedia composta nella Napoli del 1887 è resa più che mai attuale nella versione di Melchionna, catapultata nel nostro tempo e nelle sue tristi degenerazioni, in chiave unica e originale che si discosta dalla celebre trasposizione cinematografica con Totò e Sophia Loren del 1954. L’iconica scena della tavolata in cui i personaggi si strafogano di spaghetti, danzando dalla gioia e nascondendoli nelle tasche e ovunque sia possibile, per esempio, viene semplicemente resa da uno strappo nel fondo della scenografia da cui Luigino lancia degli spaghetti ai miseri personaggi che li divorano con foga.
La miseria che si racconta è la nostra, la nostra crisi, il nostro degrado della cultura, è la miseria della nostra società, la miseria spirituale con cui entriamo in contatto quotidianamente.
Emblematiche le parole di Peppeniello che abbandona il palcoscenico e in mezzo al pubblico declama “i bambini non dovrebbero mai impugnare gli strumenti di lavoro, ma solo matite colorate”; o l’amara riflessione di Felice su un’umanità che non conosce più cultura, non conosce più amore, non conosce più arte. Vi sono solo “ignoranti cronici, ignoranti recidivi” che non sanno cosa sia vivere, cosa sia lavorare con la creatività, cosa sia rendere possibile e reale l’amore.
Queste tematiche non intristiscono di certo lo spettatore, poiché vengono affrontate sempre in chiave comica, permettendo lui di ridere e divertirsi, dando però, al tempo stesso, spessore alla storia, facendo sì che la risata sia strumento di riflessione, molto spesso amara, su una povertà tanto esteriore quanto interiore.
Il merito è dell’interpretazione impeccabile e travolgente di tutti gli attori, nella vocalità come nella gestualità, nell’attenzione minuziosa per rendere eccessivi i propri personaggi, macchiette di una società fatta di categorie e stereotipi, macchiette, però, mai piatte, piene di dimensioni diverse e diverse sfaccettature. Lello Arena, accolto da un caloroso applauso del pubblico sin dal suo primo ingresso in scena, è eccezionale nella sua capacità di coinvolgimento, intenso nei suoi sguardi, nel dramma come nella risata.
Ogni elemento riveste parte fondamentale nel gioco, nella resa finale di un grande spettacolo come questo. L’estetica della scenografia che rispecchia pienamente la realtà descritta, il contrasto nero e bianco come il contrasto miseria e nobiltà; gli abiti prima sdruciti e logori, poi pomposi ed esagerati e la lingua, grande protagonista dello spettacolo. Il napoletano, come nessun altro dialetto, riesce ad esprimere i caratteri e le peculiarità dei protagonisti, lo scorretto italiano di Concetta, continuamente precisato dalla figlia, e quello mischiato con un maccheronico inglese di Gaetano, ne arricchiscono la personalità.
Il potere delle parole, che Felice decanta, il modo in cui vengono attentamente utilizzate, delinea le differenze, definisce i momenti, sancisce il trionfo di ogni confronto verbale, di ogni discussione, per chi segue attento ciascuno scambio dialettico, dall’inizio alla fine.
Un grande successo per Miseria e Nobiltà e per noi messinesi che l’abbiamo ospitato, al quale non resterebbe che dire, citando Luigino, “Arrivederci bellezza!”.
Miseria e nobiltà
di Eduardo Scarpetta
adattamento a cura di Lello Arena e Luciano Melchionna
Felice Sciosciammocca, Lello Arena
Pasquale, Andrea de Goyzueta
Eugenio, Raffaele Ausiello
Marchese Ottavio Favetti, Fabio Rossi
Gaetano, Luciano Giugliano
Gemma, Marika De Chiara
Luigino, Sara Esposito
Concetta, Giorgia Trasselli
Luisella, Maria Bolignano
Bettina, Carla Ferraro
Pupella, Irene Grasso
Gioacchino Castiello, Fabio Rossi
Vicienzo, Alfonso Dolgetta
Peppeniello, Veronica D’Elia
Biase (voce fuori campo di Raffaele Ausiello)
ideazione scenica Luciano Melchionna
scene Roberto Crea
costumi Milla
musiche Stag
assistente alla regia Ciro Pauciullo
regia Luciano Melchionna
produttore Teatro Eliseo, Tunnel Produzioni, Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro