Dieudonne, nome che letteralmente significa “Dono di Dio”, è un ragazzo senegalese che da tre anni vive a Messina. Nel pensiero rivolto a Gesù Bambino il giovane racconta il perché della sua partenza e chiede di poter finalmente realizzare il proprio sogno: «Aver riconosciuto il mio ruolo all’interno di questa società»
Anche loro hanno desideri, aspettative e speranze che nella nottata dell’Avvento desiderano rivolgere a Colui che questi sogni potrebbe farli avverare. Perché il Natale non è solo quello fatto di rosso e di bianco, ma è un Natale multicolore e soprattutto multietnico. Di questi “colori” si occupa ogni giorno l’Ufficio diocesano Migrantes di Messina, di cui è responsabile il diacono Santino Tornesi, punto di riferimento delle comunità di stranieri presenti sul territorio cittadino. In occasione di uno degli appuntamenti previsti durante il tempo di Avvento, la veglia, organizzata dalla Consulta delle Aggregazioni lacicali della nostra Arcidiocesi, l’Ufficio Migrantes ha curato una parte delle celebrazioni con l’esecuzione di canti etnici e con la lettura di un breve pensiero, scritto da un ragazzo senegalese che ormai da tre anni vive a Messina. Il suo nome è Dieudonne, il cui significato letterale è “Dono Di Dio”. Il ragazzo ha indirizzato una lettera a Gesù Bambino a cui, con semplicità, spiega le ragioni che lo hanno spinto a lasciare il suo Paese e in cui scrive ciò che spera di trovare in Italia.
Caro Gesù,
chi ti scrive è uno dei tanti migranti che oggi vive in questa città, uno dei tanti viaggiatori che ha lasciato il proprio Paese alla ricerca di un futuro migliore, di una prospettiva di vita che gli consentisse di realizzare quei sogni che ogni uomo porta nel proprio cuore. La voglia di pace e di giustizia, la possibilità di un lavoro e di una vita dignitosa hanno dato forza al mio progetto e oggi sono qui. Un progetto che mi ha portato lontano dal mio Paese e dai miei affetti, per arrivare in un’altra parte del mondo, dove per molti sono “lo straniero”, quello di cui aver paura perché ruba il lavoro e perché è un pericolo per la sicurezza. Tu capisci che vivere così non è facile. A volte vorrei avere la possibilità di incontrare le persone, per dimostrare quello che sono veramente, per fargli capire che quello che gli sta davanti è un uomo come loro, una presenza da riconoscere e valorizzare. Ti scrivo perché so che tu mi puoi capire, anche tu sei stato straniero e profugo, e con la tua famiglia hai provato cosa significa essere respinto e privato di ogni gesto di accoglienza. E forse per questo nei tuoi insegnamenti hai sempre raccomandato di amare lo straniero, di vedere in lui la tua presenza e di assicurargli l’ospitalità. Quante volte quest’ospitalità ci viene negata da una società chiusa nel timore del diverso, incapace di comprendere le necessità di chi vive lontano dal proprio Paese; mi sembra tante volte che si facciano le leggi per complicarci la vita piuttosto che per sostenere la nostra integrazione e soprattutto in questo periodo di crisi è forte la paura di non farcela a mantenere la stabilità che sono riuscito a raggiungere. E purtroppo, molto spesso, l’ospitalità manca anche nella tua Chiesa, quella che tu hai voluto aperta alla comunione e alla condivisione, nella prospettiva dell’unica famiglia umana. Ho deciso di scriverti questa lettera in un periodo particolare. L’Avvento è tempo di attesa e di speranza ed è a te che io voglio affidare le mie attese e le mie speranze: la speranza di sentirmi pienamente parte di questa chiesa locale e di avere riconosciuto il mio ruolo all’interno di questa società.
Tuo Dieudonne