In tempi di Coronavirus la quarantena coincide con la quaresima. Attraversiamo il nostro deserto personale per cambiare
Questa Quaresima che coincide anche con una quarantena – al punto che i due termini dalla comune radice potrebbero confondersi – ci costringe (almeno un beneficio) a imparare delle lezioni importanti.
Quaresima: 40 giorni nel deserto
Nella liturgia cristiana, la Quaresima è il connubio di due eventi distinti: il tempo trascorso da Gesù nel deserto a meditare – quaranta giorni, da cui Quaresima – prima d’iniziare la predicazione, e il tempo che precedeva la sua morte a Gerusalemme e la sua resurrezione, a Pasqua.
Gesù nel deserto di Giuda
Gesù sarebbe vissuto per quaranta giorni nel Deserto di Giuda da solo, a meditare, preparandosi al suo viaggio per la Palestina e dintorni, e là sarebbe stato tentato, invano, da Satana in persona, desideroso d’impedirgli di compiere la sua missione di redenzione dell’umanità. Allo stesso modo i Cristiani, a ricordo di questi fatti ma in vista del sacrificio del loro dio incarnato, trascorrono queste invero sei settimane facendo penitenza.
Il valore delle “rinunce”
Tutti i Venerdì, per esempio, che preannunciano il Venerdì Santo – giorno della crocifissione di Gesù – per tradizione è raccomandata anche dai preti la rinuncia al consumo delle carni (anche se le prescrizioni originarie sono molto più severe). Questo perché bisogna attendere la carne suprema, il Corpo di Cristo, offerto per la salvezza dell’umanità dai suoi peccati. Oltre a ciò, è buon uso dei Cristiani scegliere qualcosa a cui rinunciare, che sia particolarmente cara: questo è chiamato fioretto, fare un fioretto dunque è compiere quest’astensione.
Le astensioni alimentari
Gira e rigira, volta e ferria, finisce immancabilmente (o quasi) che il fioretto si risolva in un’altra astensione alimentare, anziché su qualcosa di concreto; molti optano per la privazione di cibi che apprezzano particolarmente. Questo perché la religione fatta di regole e precetti fa comodo a chiunque, è molto più semplice dirsi: “rinuncerò a un cibo così mi purificherò” piuttosto che chiedersi: “cosa faccio di sbagliato che non dovrei più fare?”
La logica delle tentazioni
È la solita logica delle tentazioni, spesso al centro dei discorsi nella spiritualità cristiana, per la quale le cose che in noi superano quella moderata gradevolezza sono un potenziale strumento del male. A questo punto, la privazione – la mortificazione – purifica e avvicina alla divinità. Ma è veramente così? Davvero vale sempre e per ogni persona questo metodo?
Cosa è il cibo per noi?
Sembra una sciocchezza, ma ci sono domande che bisognerebbe farsi prima di privarci di qualcosa. Cos’è per noi quel cibo che amiamo mangiare e che ci stiamo togliendo? È soltanto un vizio che ci tiene in schiavitù? Oppure, è un palliativo, perché tramite esso leniamo le nostre sofferenze? Spesso è proprio una sorta di farmaco, non sempre sano ma che pur sempre aiuta la sopravvivenza; è veramente cosa buona e giusta privarsene per solidarietà verso l’uomo-dio che, invece, a curare sarebbe venuto e non a privare delle cure?
Non è questione di crederci o non crederci – giacché scriviamo in posizione neutrale –, ma d’entrambe le parti: se non ci si crede è ridicolo perché non ci si crede, se ci si crede è ridicolo perché risulta riduttivo e futile. Ma ora, la privazione che ci tocca è molto più grande d’un divieto alimentare.
La quarantena: penitenza forzata
Quest’anno, volenti o nolenti, cristiani o altro, dobbiamo sottoporci a una penitenza forzata, che farebbe impallidire qualunque fioretto possibile e immaginabile. Non possiamo uscire perché fuori non sappiamo cosa può accadere, non possiamo rilassarci perché la malattia potrebbe essersi annidata nella posizione più inattesa, non possiamo nemmeno stare in pace perché abbiamo inevitabilmente paura di cos’accadrà; non possiamo vivere, per il nostro bene, per potere vivere dopo. Ci è imposto (a ragione) e non l’abbiamo scelto, ma può esistere un fioretto maggiore di questo?
Il nostro deserto personale
Davvero avremmo da stupirci se trovassimo qualche persona che sta continuando imperterrita a seguire un fioretto già stabilito! È la sicura strada per un’implosione. Quest’anno siamo, nostro malgrado, di fronte a un obbligo e non a una scelta, di ritirarci nel deserto. Questa Quaresima – e questa Pasqua –, che i Cristiani soffrono per l’impossibilità di celebrarla secondo tradizione, è invece spiritualmente molto più vivida e vera, perché la nostra reclusione è il nostro deserto personale, nel quale ci ritiriamo, come Gesù nella narrazione evangelica.
Ciò che diamo per scontato
Non è una nostra scelta, già l’abbiamo detto, ma stiamo compiendo questo ritiro. Quale beneficio dovremmo trarne? Sospendere la vita normale permette di mettere in luce tutti gli aspetti che diamo da sempre per scontati: i comportamenti, i pensieri, le persone. Come ci stiamo fermando da ogni nostra attività, ci fermiamo anche da ciò che mettiamo in atto nel mondo all’infuori di noi e allora stavolta per davvero possiamo chiederci: “Cosa faccio di sbagliato che non dovrei più fare? Vale davvero la pena vivere senz’alcun riguardo per il prossimo? Improvvisamente ci rendiamo conto di quanto ci facciamo del male e ci autoinfliggiamo dolore nei modi più disparati; ne vale davvero la pena, dato che possiamo soffrire enormemente come ora all’improvviso e senza possibilità di scegliere?” Le domande che possiamo farci sono tante ed è bene che ce le facciamo.
Facciamo sì perciò che quando la segregazione finirà, non ne usciamo come dei morti viventi ma come delle fenici invincibili che hanno saputo rigenerarsi.