A tre anni dall'alluvione che ha colpito la riviera ionica, Tempostretto ripropone, in tre parti, le principali tappe del millenario rapporto tra la città ed i suoi torrenti
Il 28 dicembre 1908 l’area dello Stretto è sconquassata da un devastante terremoto (7,1 gradi della scala Richter, 11-12 di quella Mercalli). A Messina – quasi interamente rasa al suolo – muoiono oltre 60.000 persone, più diverse altre migliaia nella vicina Calabria. Mentre le autorità sabaude latitano, i primi soccorsi giungono dagli eroici marinai di alcune navi russe presenti nei pressi, i quali compiono veri miracoli di abnegazione e di spirito di fratellanza.
La tragedia, dato l’estremo stato di distruzione della città(1), impone di considerare profondamente le condizioni della pianificazione urbanistica. Lo strumento-guida della ricostruzione, approvato nel dicembre del 1911, diventa così il piano regolatore redatto dall’ingegnere capo del Comune Luigi Borzì, il cui principio informatore si fonda sulla necessità che la rovina di un isolato non debba trasmettersi al blocco adiacente (circostanza che ebbe conseguenze funeste nel 1908, generando il temuto “effetto domino”).
Pur tra la difficile salvaguardia dell’impronta storica dell’abitato ed i vincoli connessi alla normativa antisismica, la riedificazione avviene in tempi brevi secondo una logica di insediamento a bassa densità edilizia che imponeva un’altezza massima di 10 metri dei fabbricati, un numero massimo di due piani e una larghezza minima delle strade di altrettanti 10 metri.
L’impianto della città nuova prevede il completo utilizzo delle aree pianeggianti costiere(2), individuando nella circonvallazione non solo una strada panoramica ma anche un limite all’espansione verso ovest. In senso longitudinale la trama urbana include la vecchia area allargandone gli ambiti verso nord fino al torrente Annunziata e – in direzione sud – fino al Gazzi, quasi a costituire il confine fisico, i moenia, del Piano regolatore.
Nel 1935, con una deroga alle norme tecniche del 1909, viene intanto elevata a 16 metri l’altezza massima dei fabbricati, che adesso possono avere sino a quattro piani fuori terra. Di fatto risulta raddoppiata la capacità insediativa delle zone edificabili.
Ma è la seconda guerra mondiale a portare nuove distruzioni: il porto, già presidio fortificato della Regia Marina, è ghiotto obiettivo per gli aerei alleati i cui bombardamenti riducono nuovamente in polvere le case e l’animo dei messinesi (oltre 1000 morti e la metà degli edifici distrutti o danneggiati). Al dramma delle (poche) baracche post-terremoto si aggiunge quello dei senza-tetto vittime delle devastazioni belliche.
Negli anni a seguire la città vive un boom demografico ed edilizio accompagnato da ulteriori deroghe ai limiti imposti dalle normative antisismiche: negli anni cinquanta vengono consentiti cinque piani e 18 metri di altezza, mentre le periferie più esterne – oltre i limiti del piano Borzì – sono figlie della completa assenza di una strumentazione urbanistica.
A ciò si aggiunga che il dibattito sulla necessità di un nuovo Piano regolatore generale, sorto proprio in quel periodo, fu all’epoca frenato dalla particolare e tacita considerazione che “nessun nuovo strumento urbanistico avrebbe potuto consentire, alla luce delle nuove norme del 1942, una così massiccia attività edificatoria, così come di fatto consentivano le norme antisimiche, sia nelle aree del Piano Borzì, che nelle aree esterne, prive di qualsiasi regolamentazione”(3).
Nel 1976 viene adottato dal Comune il PRG redatto dalla società TEKNE, che tuttavia viene utilizzato e gestito con una prospettiva di portata limitata. Esso è in realtà una sorta di “piano urbanistico di normalizzazione […] e non porta, sempre per problemi di complessiva gestione e di cultura urbana, a soluzioni di notevole respiro programmabili nel tempo”(4).
Al tumultuoso processo di crescita demografica(5), frattanto, fa riscontro il definitivo ampliamento delle digitazioni urbane nelle valli, favorita anche dalla copertura stradale di svariati torrenti in un’ottica di risanamento e riassetto della configurazione cittadina. Se le fiumare, come visto, rappresentavano delle linee di demarcazione che disegnavano i confini dell’insediamento, nei decenni a seguire l’asse viario ricavato dalla loro copertura modifica radicalmente questo rapporto, destinandolo ad elemento prettamente viabile piuttosto che geografico.
La situazione relativa all’ultima fase di pianificazione dell’assetto urbano, infine, ha trovato la sua soluzione nello strumento urbanistico oggigiorno vigente: la Variante generale al PRG adottata nel 1998 ed approvata nel 2002.
La tragedia dell’1 ottobre 2009 ha riacceso in questi anni l’interesse per il nuovo Piano regolatore che andrà a sostituire quello attuale, artatamente sovradimensionato fin dalla sua origine e comunque in scadenza nel dicembre 2012.
Sebbene le cause dell’alluvione di Giampilieri e Scaletta non siano legate in sensu strictu al fenomeno dell’abusivismo (a differenza di quanto inopinatamente è stato fatto credere), il confronto che porterà all’ideazione del nuovo Piano non potrà non tenere conto della necessità di porre un freno al proliferare caotico ed incoerente di iniziative edilizie, spesso localizzate su improbabili aree “extra piano” lungo i pendii delle colline e lontane da un organico sviluppo della comunità. In questo senso, vanno interpretati positivamente i recenti “niet” sollevati dalle varie Istituzioni preposte nei confronti di nuove e discutibili speculazioni.
L’area metropolitana di Messina, che a partire dalla sua prima strutturazione è andata nel tempo espandendosi secondo un regime di conurbazione, saldando numerosi nuclei storici di insediamento, ha oggi bisogno di nuove regole di una nuova progettualità. Parimenti, ci sembra corretto evincere come la città, che parafrasando De Amicis “allunga le sue ali bianche lungo il mare”, possa trovare soltanto nella valorizzazione del suo variegato e incomparabile territorio la strada del definitivo rilancio. Altresì, essa dovrà guardare con più attenzione alle problematiche di tutela del notevole patrimonio ambientale di cui dispone, senza dimenticare l’importante legame esistente con i corsi d’acqua che – a guisa di pettine – la attraversano per raggiungere lo Stretto.
(1) La distruzione è talmente grave che non si vorrebbe nemmeno tentare la riedificazione della città, la quale invece verrà ricostruita nel sito originario grazie alle tenaci istanze della popolazione superstite.
(2) In tal modo viene valorizzato il cosiddetto “piano della Mosella” su cui si andranno ad instaurare funzioni commerciali che si innervano sul nuovo fulcro della città, piazza Cairoli.
(3) V. Cicirelli, Messina: modello di crescita, attraversamento dello Stretto ed integrazione funzionale, in “Citta&Territorio – documenti dell’Amministrazione Comunale di Messina”, n. 6 novembre/dicembre 1992.
(4) M. Lo Curzio, Pianificazione Urbanistica, in “Messina, Storia e Civiltà”, ed. GBM, Messina, 1997.
(5) La popolazione di Messina passa dai 180.000 residenti del 1931 ai 254.600 del 1961, con un incremento di circa 75.000 abitanti in appena 30 anni (fonte ISTAT).
D.B.
Nel discorso sulla dissennata edificazione lungo i torrenti e sulla loro trasformazione in strade, sarebbe stato opportuno ricordare la tragedia assurda del 27 settembre 1998, quando durante un temporale la famiglia Carità ed un giovane immigrato srilankese persero la vita travolti dalla piena rispettivamente dei torrenti Annunziata e Pace,indebitamente fatti utilizzare come strade di accesso ad abitazioni e complessi (vedi Complesso Beata Eustochia all’Annunziata).
Oggi Messina non ha più incremento demografico,quindi non ha senso continuare a costruire, senza peraltro rispettare l’ambiente e tenere conto della struttura geomorfologica del territorio. Occorre invece superare pastoie buroctatiche e risanare aree degradate(prima tra tutte la baraccopoli nelle vicinanze del Policlinico),demolire e ricostruire (evitando però i grattacieli al centro),ristrutturare.E solo così che si può rilanciare il settore edilizio evitando rischi futuri.
Sono stimolanti gli speciali di TempoStretto scritti dal dott.Diego BUDA, si sente che il nostro concittadino ama la Urbs Messana e la sua storia, gli posso garantire che sono letti con interesse dai miei amici, che si aspettano gli speciali sui villaggi storici della nostra città. Caro Diego, viaggiare per incontrare i nipotini padani è per me un’occassione per rileggere libri cui sono molto legato, l’ultimo è una pubblicazione di Giovan Battista Magno, con i testi di Pietro Bruno e le fotografie di Giulio Conti, un viaggio lungo il CIRCUITO ANTICO DELLE MURA DELLA CITTA’, così lo chiama lo storico messinese Caio Domenico Gallo negli annali della città di Messina,siamo nel 1877-1882.
Siamo in un tempo in cui si amava il nostro territorio. Caro Diego ti voglio dedicare i versi di Villani, che richiamano una canzone popolare della nostra Urbs:
Deh com’egli è gran pietate / delle donne di Messina / veggendole scapigliate/ portando pietre e calcina/ Iddio gli dia briga e travaglio/ a chi Messina vuol guastare.
Io aggiungo MALANOVA MI ANNU