E' iniziata questa mattina la protesta dei 41 cassintegrati della Triscele che dal 31 dicembre potrebbero rimanere senza lavoro e senza sussidi. Ricordano gli anni passati nell'azienda di via Bonino e sono certi che in questi stabilimenti la produzione poteva andare avanti.
La protesta è iniziata. Andranno avanti fino a quando non otterranno le risposte che con pazienza hanno aspettato, fino a quando la dirigenza dell’azienda per la quale hanno lavorato non accetterà di incontrarli. Perché il tempo corre veloce, il 31 dicembre scadrà la loro cassa integrazione in deroga e se nel frattempo non accade qualcosa potrebbero rimanere senza lavoro e senza sussidi. I 41 cassintegrati della Triscele da questa mattina sono in sit-in permanente davanti i cancelli dell’azienda in via Bonino. Sono tornati lì dove per anni hanno lavorato e lì dove poi hanno a lungo protestato per non perdere il loro posto. Non se ne andranno se prima non avranno certezze sul piano industriale che il gruppo Faranda aveva annunciato dopo la decisione di chiudere lo stabilimento e delocalizzare la produzione. Per arrivare a questo piano c’era un passaggio obbligato: il cambio di destinazione d’uso dell’area in cui sorgono attualmente gli stabilimenti. Questo iter praticamente è giunto al capolinea, del piano industriale però nessuna traccia. E così i 41 lavoratori, insieme a Giovanni Mastroeni, Calogero Cipriano e Salvatore Orlando, rispettivamente segretari generali di Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil Messina, da questa mattina si sono riuniti davanti lo stabilimento preoccupati soprattutto dal silenzio del gruppo Faranda. Tra l’altro, per un problema legato all’Inps, da cinque mesi sono senza il sussidio della cassa integrazione e la tensione inizia a salire. Hanno avuto pazienza ma soprattutto hanno avuto fiducia nella dirigenza della Triscele che ha sempre garantito che i lavoratori sarebbero stati collocati in un nuovo stabilimento. I sindacati continuano a ribadire che “se l’azienda dovesse ancora una volta rifiutare di discutere il nuovo Piano industriale, sarà evidente a tutti, lavoratori e città di Messina, come sin dal principio l’unico obiettivo di Faranda fosse lo sfruttamento immobiliare delle aree di via Bonino e non la ripresa della produzione, la salvaguardia dei posti di lavoro e di un pezzo storico del nostro patrimonio economico e produttivo”.
Ricordiamo che tutto iniziò quando nel 2010 il gruppo Faranda annuncia il blocco della produzione di birra per problemi legati agli impianti vecchi e obsoleti. Oggi i lavoratori hanno parlato anche di questo. Secondo loro che in questo impianto hanno prodotto birra per anni si poteva continuare a lavorare nella sede di via La Farina. Secondo loro il gruppo Faranda non ha saputo investire nel modo giusto, hanno la certezza che in questo stabilimento la produzione poteva andare avanti. “Quando l’Heineken dichiarò la volontà di chiudere disse che gli impianti erano ormai vecchi. Erano i tempi della Birra Messina e fino ad allora questo stabilimento era il primo in tutta la Sicilia per produzione. Poi vennero i tempi della Birra del Sol e Patruni e sutta, quelle sotto il marchio Triscele del gruppo Faranda. Per tre anni le cose andarono bene, poi la crisi. Ma siamo certi che seguendo una strada diversa oggi questo stabilimento sarebbe stato ancora un fiore all’occhiello della città”. (Francesca Stornante)
eccone altri… basta illudersi!!!
Sicuramente un’altra strada era possibile. Forse i Faranda avevano altri scopi, visto l’uso che faranno dell’area dello stabilimento. Informatevi su cosa è stato fatto a Pedavena, stessa storia ma con esito diverso. Speriamo bene, per i lavoratori e per la città.
La Triscele NON ha mai prodotto un bel nulla.
Si limitava ad imbottigliare la birra (buona) podotta in Croazia.
Che poi Faranda ha illuso la gente, questa è un’altra storia.