Scadrà il 28 febbraio, se n'è parlato in sede di VII Commissione consiliare
Il 28 febbraio scadrà l’ultimo protocollo d’intesa stipulato nel 2018 con il Comune di Messina e l’Asp per il Centro socioriabilitativo residenziale per disabili gravi “Don Orione” di viale San Martino, gestito dalla cooperativa Faro 85.
Il tema è stato affrontato stamani in VII Commissione consiliare con l’assessora alle Politiche Sociali Alessandra Calafiore, il direttore del Don Orione don Natale Fiorentino, il presidente della “Faro 85” Angelo Giacoppo e il dott. Vincenzo Manzi dell’Asp di Messina.
“Il centro socioriabilitativo – evidenzia il presidente di commissione, Dino Bramanti – è una realtà cittadina, finanziata da Comune e Asp, che sin dal 2001 si occupa di assistere h 24 una quarantina di persone con disabilità grave e gravissima. E’ necessario garantirne la continuità per l’importantissimo compito svolto a favore della comunità”.
“Il sindaco Cateno De Luca, già da gennaio – precisa l’assessore alle Politiche Sociali, Alessandra Calafiore – aveva chiesto all’Asp un incontro per il rinnovo del protocollo riguardante la gestione del Centro socio-riabilitativo Don Orione. A seguito di un ulteriore sollecito da noi effettuato nel mese in corso per indire una riunione ci è stato comunicato da parte del dott. Paolo La Paglia il diniego al rinnovo della convenzione in quanto, a seguito delle valutazioni effettuate, non sussistevano le condizioni per garantire, nei prossimi anni, il contributo economico onnicomprensivo previsto nel protocollo d’intesa sottoscritto col Comune di Messina il 30 marzo 2018. Oggi invece abbiamo ricevuto una nota da parte del dott. Bernardo Alagna, nuovo direttore generale dell’Asp, a seguito della quale non solo ha confermato la normativa riguardante la gestione delle strutture residenziali, che prevede la competenza dell’Asp quasi in via esclusiva, ma ha anche dato la sua disponibilità ad un incontro in tempi brevi per definire il nuovo protocollo”.
La Covid nelle residenze per anziani
“Durante l’emergenza Covid 19 sono emerse, a livello nazionale, molte fragilità di queste strutture residenziali. L’84% dei deceduti per Covid – ricorda Bramanti – ha 70 anni o più; l’età media delle vittime è di 79 anni. Il 61% aveva 3 o più patologie preesistenti. La pandemia ha evidenziato proprio l’incapacità di proteggere la popolazione più fragile. Da un’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità emerge l’alto numero di decessi all’interno delle rsa. Molte di queste persone hanno infatti contratto il virus proprio nelle strutture destinate alla loro cura, tanto che l’Iss ha avviato un’indagine sul contagio nelle strutture residenziali e socio-sanitarie. Lo studio dell’Iss ha sottolineato come il virus si sia rivelato fatale per il 3,4% dei residenti nelle rsa. In proiezione sulla popolazione complessiva delle strutture italiane, ne deriva un totale di quasi 12mila decessi di anziani per Covid nelle Residenze Sanitarie Assistenziali. Dalle risposte al questionario rivolto dall’Is a queste strutture, è risultata l’inadeguata capacità delle rsa di rispondere ad una situazione così drammatica. L’83% degli interrogati tra le rsa lamenta la mancanza di Dispositivi di Protezione Individuale, il 20% ha evidenziato di non aver ricevuto informazioni sulle procedure da adottare, un terzo denuncia l’assenza di personale sanitario, un decimo la mancanza di farmaci e un quarto ammette di non avere strutture adeguate. In larga parte, queste strutture, specialmente quelle più piccole, sono prive di mezzi che permettano determinati esami, per i quali si richiede il trasporto in ospedale, con tutte le criticità legate allo spostamento di soggetti fragili e allo stress dei pronto soccorso. Ciò malgrado, le strutture accolgono tutti i tipi di pazienti, a prescindere dalla loro condizione: dall’anziano, che ha un semplice bisogno di ‘monitoraggio’, ai malati di patologie più gravi che necessitano di stretti trattamenti e sorveglianze. Considerato che – come dice l’Iss – il 70% dei ricoverati nelle rsa ha tre o più patologie, è impensabile accomunarli in strutture che spesso sono poco più che alberghi. Si dovrebbe semmai stratificare le rsa in base alle caratteristiche dei pazienti, ciascuno con le proprie specifiche esigenze, distinguendo in autosufficienti e non, con o senza patologie; questo al netto delle strutture più organizzate, che già contengono nuclei specifici. Di conseguenza è necessario delineare delle alternative che possano affiancare il sistema delle rsa. Una è quella dell’assistenza domiciliare, che oltre ad una razionalizzazione dei costi, permetterebbe all’anziano di continuare a vivere in un ambiente familiare, fonte di sollievo piscologico e morale. Per incentivarla, servono però essenzialmente due cose: il sostegno alle spese necessarie alla vita domestica dell’anziano e alle strumentazioni funzionali al monitoraggio della sua salute, e l’offerta di beni che agevolino l’assistenza domiciliare, ricorrendo alla telemedicina e all’intelligenza artificiale per supportare lo svolgimento delle Adl (activities of daily living) mancanti, e di servizi che offrano all’anziano un aiuto a tutto tondo, al di là della mera attività di cura. E’ necessario cambiare il modello di assistenza degli anziani e dei pazienti fragili in generale – prosegue Bramanti -. È fondamentale che queste persone siano accompagnate in percorsi che garantiscano loro le cure e l’assistenza necessaria per vivere in piena salute. Questo rappresenta non soltanto un beneficio per loro, ma anche per l’intera collettività, poiché determinerebbe anche un calo dei costi sostenuti. Nell’attesa che l’iter dei vaccini venga completato, – conclude il presidente della VII Commissione – la fragilità di quanti sono ospitati nelle rsa rappresenta un’emergenza nell’emergenza ed è dunque nostro compito vigilare e porre in essere tutte le iniziative necessarie affinché gli errori del passato non debbano più ripetersi”.