Un meritato “Sold out” per la caustica, e in uno spumeggiante rappresentazione c/o l’Area Iris, divenuta ulteriore idonea location per “Il Cortile Teatro Festival”, con replica il giorno successivo c/o il Cortile Calapaj- D’Alcontres.
La Rassegna “Segnali di vita nei cortili”, con la direzione artistica del plurivalente artista Roberto Zorn Bonaventura, sta dando, nella specie con l’apporto e la produzione di “Nutrimenti Terrestri, nel suo decennale davvero il meglio, avendo fin qui formulato proposte teatrali in grado di rispondere ad una domanda diversamente articolata con un’offerta dunque giustamente differenziata, tenendo conto dei target dei fruitori; la alta qualità delle performance è stata sempre e comunque elemento caratterizzante.
Nel caso di specie, le aspettative del pubblico non sono state di certo disattese…. e tutti noi, che confidavamo, a buon titolo, nella consolidata esperienza di interprete dell’istrionico Valerio Aprea, abbiamo assistito rapiti ad una Sua lettura senza inciampo alcuno, ben modulata e sapientemente orchestrata attraverso l’uso dei necessari registri, sempre capace di tenere alta in ogni caso l’attenzione degli entusiasti astanti.
La piece principale, che connota significativamente l’intitolazione, incentrata sulla famelica fame che “divora” la popolazione italiana, da Nord a Sud, indifferentemente, è indubbiamente il perno intorno al quale si snodano gli altri pezzi, ugualmente scoppiettanti e spietati in uno, legati da una sorta di fil rouge, quale è l’avidità, naturale vocazione italiana.
Fa eccezione “In mezzo al mare”, del quale non si può non lodare la sfumata e sognante delicatezza narrativa, che in una visione elegiaca dei tempi andati, ha rapito e incantato, mettendo a nudo l’incapacità, che connoterebbe la vita degli adulti, di orientarsi nel disastro della contemporaneità.
Mattia Torre, il compianto artista dalle multiformi sfaccettature, prematuramente scomparso nel 2019, alla vigilia delle riprese del lungometraggio “Figli” – vincitore del David di Donatello proprio per questa sceneggiatura, di recente programmato presso l’Arena Iris e previsto prossimamente, causa rinvio, alla terrazza del Museo cittadino, per la rassegna “REState al MuMe – ha sapientemente orchestrato lo script monologante, articolato in realtà in tre quadri, in primis “Colpa di un altro”, e ancora “Yes, i can” e “Gola”, che occupa, come già scritto, posizione centrale, pezzi tutti inseriti nella raccolta “In mezzo al mare”.
I vizietti degli italiani, i loro costumi, sono per così dire con disarmante sarcasmo messi alla berlina e, nella esilarante resa di V. Aprea, divengono narrazione spietata di un reale disturbato ma esilarante. Così, quella reiterata e abitudinaria tendenza a riferire le negative risultanze di fatti, contesti e situazioni a chi è venuto prima, di qualunque ambito e settore si tratti, nel privato e nel pubblico e in politica, fa sorridere amaramente, riconoscendone la veridicità in un Paese votato alla menzogna e al raggiro con le tragiche insite connessioni, anche attuali.
Quanto poi alla raccapricciante descrizione puntuale, dai toni via via più esasperati, delle attitudini dell’arricchito di turno, con le sue volgari ostentazioni di lusso di pessimo gusto, che si esemplificano in ogni acquisto, voluttuario (ovviamente) sempre sfrenato, pacchiano e, manco a dirlo, volutamente dispendioso…questo modo delirante di “possedere” e non abitare la terra, in una esistenza da Billionaire, è purtroppo ben conclamato nel Bel Paese. Ancora, tornando a quell’ancestrale fame, che si vuol far derivare da sofferenze e stenti causati dalle due guerre mondiali, che si continuano a volere esorcizzare, anche in questo caso non si può che asserire la giustezza del riferimento, in quanto la gola, peccato capitale, caratterizza la gran parte degli italiani che, a prescindere dai territori regionali di provenienza, discute continuamente di cibo, crea novelle divinità negli improbabili Chef di turno e, seguendo i loro diktat, si svena, in ogni caso si abboffa, fino a vomitare, salvo poi spendere fortune in diete per liberarsi di quanto ingerito…e ricominciare come e più di prima…..questa magnifica ossessione è comunque presente in via diuturna, di certo traghettata dal XX secolo, ma ingigantita oltre misura nelle attuali contingenze, soprattutto per la eccessiva materialità che le connota.
Il disegno di luci mutevole e ammaliante ha tenuto ben luogo della carenza di elementi scenici (sul palco dunque spoglio), dei quali è risultato naturale e conseguente fare a meno.
Le musiche di Giuliano Taviani e Carmelo Travia, composte per il citato “Figli”, hanno completato degnamente la performance, con il confacente sostegno ritmico, conferendo alla rappresentazione il carattere di sincero omaggio, mai retorico e di facciata, all’illustre personaggio che non è più, essenziale alla realizzazione della spettacolare rappresentazione, dal ritmo incalzante, densa di momenti comici e severi al contempo.
Anche il bis generosamente offerto, di segno caustico, come gli altri tre script riferiti, si è mosso nel solco di un codice connotato da un grottesco mai comunque eccessivo, meritando ancora una volta il convinto plauso degli spettatori, che hanno sommerso di applausi il loro beniamino.