Sono passati sei anni dal primo nubifragio, quello del 25 ottobre 2007. Poi c'è stata l'alluvione del 1 ottobre 2009. Oggi sono ancora tanti gli sfollati che non possono tornare nelle loro case. Giovanni Falconieri è uno di questi. Rfi chiamata da tempo a realizzare un canale di sfogo per convogliare le acque a mare vicino a Capo Scaletta
A Scaletta Zanclea qualche passo in avanti c’è stato, ma ci sono ancora troppe persone che fanno i conti con il “day after”, un giorno dopo che non si sa quando finirà. Ci sono persone che ieri erano “scalettesi”, oggi sono solo “sfollati”. Lo sfollato è un nuovo status sociale, non ha una casa, non ha una residenza, ha solo la speranza di poter smettere la definizione di sfollato. Giovanni Falconieri è uno di questi. Viveva a Capo Scaletta. La moglie aveva anche trasformato l’abitazione in Bed & Breakfast, attività che gestivano da cinque anni. Il 25 ottobre del 2007 due frane sfioravano la casa. I sopralluoghi tecnici avevano concluso che il costone roccioso andava messo in sicurezza. Nulla di fatto. Il 1 ottobre del 2009 è troppo tardi per i rimorsi. E’ peggio di quanto si potesse immaginare. La statale 114 rimane isolata per diverso tempo. All’inizio i collegamenti sono solo marittimi, in alcune frazioni si riesce ad arrivare solo un paio di giorni dopo. Sono tante le prospettive. La più quotata è il nuovo svincolo autostradale, il mostro che da cinquant’anni riempie le bocche dei politici. Giovanni Falconieri nella sua casa non può ancora abitarci. L’unico provvedimento adottato è l’apposizione di una rete. Inutile. Quello che serve davvero è un canale di scolo che convogli le acque fino a mare. Il lavoro spetta all’Rfi. La stessa identica situazione accade in contrada Divieto. Anche lì l’Rfi dovrebbe realizzare un foro di sfogo acque. Ma sembra che si rifiuti di procedere. Niente lavoro, niente ritorno alla normalità. "Quando potrò tornare a casa mia?" si chiede ogni giorno uno sfollato. E non può far altro che riporre il suo futuro nel nido di indifferenza che lo avvolge. E’ una scontata verità. Distruggere è molto più facile che costruire. Sia che la distruzione avvenga per cause naturali sia che venga provocata dalla mano dell’uomo. E Scaletta Zanclea con questa dura verità ci fa i conti. Da quasi sei anni. Tutti ricordano infatti – perché più recente, perché più tragica, perché più devastante, perché assassina – l’alluvione del 1 ottobre del 2009. Ma su quel territorio martoriato l’avvisaglia, se così la vogliamo chiamare, c’era già stata il 25 ottobre del 2007. E poi ancora, ma più lieve, nel dicembre del 2008. C’era già stata una scossa che aveva smosso qualcosa in quella terra che due anni dopo è rotolata via. E cosa serve per la distruzione? Oltre 200 millimetri d’acqua in 4 ore. Per la ricostruzione, invece, non sono bastati 6 anni e “il parere dell’esperto”. L’acqua si è portata via tutto. Ha sporcato invece di lavare. Ma ha fatto emergere tante cose che stavano sotto quella terra. Una su tutte: la bassezza dell’uomo. Di quelli che per quel disastro sono adesso indagati con accuse a vario titolo o ancora di quelli arrestati per estorsione alle ditte impegnate nella ricostruzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Di quelli che non intervengono dove dovrebbero. Poi c’è sempre il famoso punto interrogativo mai trasformato in punto fermo che riguarda i finanziamenti. Spariti, bloccati, in attesa di. E’ un problema dentro il problema ma la matrice è sempre quella umana. Ed è, purtroppo, alle mani dell’uomo affidata la ricostruzione. Perché per un uomo pronto a piantare un albero ce n’è sempre uno pronto a sradicarlo. Giusy Briguglio