Un "fulmine a ciel sereno", dicono i dipendenti: «Contratti di solidarietà per 4 anni per rilanciare lo stabilimento: nessuno ha mai parlato di chiusura»
REGGIO CALABRIA – A San Gregorio, estrema periferia Sud di Reggio Calabria, c’è un’area industriale che vanta diverse imprese significative, ma anche lo spettro di una mega-débacle del passato recente come il Polo tessile. Aziende che si chiamavano Teca, Tepa, Philadelphia, Cotton2… Tutto sparito, tra crisi economica vera, scarsa capacità d’incidere della classe dirigente locale e nazionale, voglia di privatizzare i profitti e collettivizzare le perdite: vecchia storia, insomma.
Lo spettro del Polo tessile “colpisce ancora”
Il punto è che la “vecchia storia” torna drammaticamente d’attualità, perché la multinazionale francese Lactalis, con sede centrale a Laval – 54mila abitanti nella regione della Loira, NordOvest della Francia – ha deciso che stare in perdita non le sta più bene.
Così ha guardato nei conti del gruppo Nuova Castelli – 460 milioni di euro di fatturato annuo, il gruppo italiano leader mondiale nella produzione ed esportazione di mozzarelle e primo esportatore al mondo di Parmigiano reggiano fu acquisito nel maggio del 2019, rilevandone l’80% dal fondo d’investimenti inglese Charterhouse capital partner -, e in particolare della Alival. E ha deciso di chiudere due stabilimenti italiani della Alival: Ponte Buggianese, località in provincia di Pistoia che confina con luoghi celebri come Montecatini e, nel Fiorentino, Fucecchio, che diede i natali al grande giornalista Indro Montanelli (71 lavoratori), e appunto San Gregorio, territorio comunale di Reggio Calabria (79 lavoratori).
Trovare un altro lavoro? Mission impossible
Sono così 150 le persone che all’inizio del 2023 dovrebbero tornare a casa; e in Calabria, con l’estrema difficoltà di poter mai tornare ad avere un lavoro visto che – per citare le loro stesse parole – «siamo troppo giovani per andare in pensione e troppo vecchi per riuscire a trovare un’occupazione diversa».
C’è chi lavora qui da 32 anni. Basterebbe questo dato, a capire la singolare drammaticità della vicenda.
Cosa penserà mister 10 miliardi (di dollari)?
Il primo gruppo lattiero-caseario del pianeta (!) guidato da Emanuel Besnier – uno dei 200 uomini più ricchi al mondo, patrimonio personale stimato: poco meno di 10 miliardi di dollari –, 80mila dipendenti in tutto il mondo (5.500 dei quali solo in Italia), fatturato annuo da 18,4 miliardi di euro, ritiene insomma di risolvere le sue ritenute grane economiche così: licenziando 150 dipendenti, pari allo 0,18% della sua forza-lavoro.
Chissà cosa penserà Besnier oggi.
Dipendenti completamente spiazzati
…Di certo, l’amarissima decisione ha spiazzato tutti. Anche perché, spiegano i lavoratori sconcertati al cancello dell’azienda, «qui nessuno ha mai parlato di licenziamenti, figurarsi di chiusura dello stabilimento. Abbiamo sopportato di buon grado il sacrificio dei contratti di solidarietà, per evitare che nessuno, neanche tra le 25 unità ritenute soprannumerarie dalla parte datoriale, perdesse il proprio posto di lavoro. Ma una cosa così è totalmente fuori dal mondo».
Fulmine a ciel sereno, dopo 4 anni di ‘solidarietà’
«Al contrario – evidenzia una dipendente –, a noi è stato chiesto di sottoporci ai contratti di solidarietà per poter rilanciare il sito, dando così a tutti noi anche maggiore serenità: noi l’abbiamo fatto per quattro lunghi anni, poi è arrivata questa “bomba”, questo fulmine a ciel sereno che sta devastando noi e le nostre famiglie».
In tutt’Italia, solo qui si produce mozzarella Stg
L’elemento assurdo è che proprio le maestranze del sito di produzione di Reggio Calabria si sono sempre distinte per professionalità e produttività, con un’opera che il mercato e gli addetti ai lavori ritengono d’assoluta qualità.
E proprio lo stabilimento di San Gregorio è l’unico nell’intero Paese a produrre una mozzarella a denominazione Stg, di Specialità territoriale garantita cioè: una delle tante, tantissime cose che – allo stato, almeno – non si riescono a comprendere è che senso possa avere gettar via, con l’intero stabilimento, anche questa comprovata maestria e una riconosciuta eccellenza nel settore caseario.
«Come mandare a casa 800 lavoratori a Milano»
E adesso?
«L’azienda afferma che non ci sarà alcuna delocalizzazione di marchio, ma i fatti dicono che solo questo stabilimento vanta il marchio Stg: una volta chiuso, non si sa cosa accadrà neppure da questo punto di vista. Di sicuro – mette in rilievo un collega –, sarà molto molto difficile per chiunque di noi trovare lavoro altrove, anche in altri segmenti produttivi.
E poi, chiudere uno stabilimento con 79 dipendenti a Reggio Calabria è come chiuderne uno con 800 lavoratori a Milano: probabilmente, questo non è chiaro a chi ha preso una decisione simile».
Coi lavoratori, azienda-fantasma
In tutto questo, Lactalis pare un fantasma. «No, con noi l’azienda non ha mai parlato. Forse, ha dialogato un po’ coi sindacati, ma con noi mai. Quindi adesso noi tramite i nostri rappresentanti sindacali lotteremo fino alla fine per difendere il nostro posto di lavoro».
Vicinanza e azione dai sindacati e Comune
La Triplice sindacale, vicinissima alle maestranze fin dal primo istante, ha già avviato le procedure per un tavolo di concertazione sulla vertenza in sede di Ministero per lo Sviluppo economico che dovrebbe materializzarsi entro la terza settimana di maggio.
Già ieri, poi, il sindaco facente funzioni Paolo Brunetti ha ricevuto una delegazione di lavoratori Lactalis e di dirigenti sindacali.
«Noi ce la stiamo mettendo tutta. La risposta del primo cittadino ci ha molto rincuorato – rileva una lavoratrice dello stabilimento di San Gregorio –, abbiamo visto la presenza sua e del territorio: sappiamo bene che, se usciremo da qui, il territorio di Reggio Calabria non ci offrirà granché. Che idea ci siamo fatti delle motivazioni alla base della chiusura? Per noi è stata una “doccia gelata”… Il motivo non può essere certo la bontà della produzione o l’intensità del nostro lavoro, c’è sicuramente dietro qualcos’altro – concetto, questo, espresso da vari dipendenti in lotta –. Al momento non sappiamo di cosa si tratti, ma cercheremo di scoprirlo al più presto».
Un amarissimo “ringraziamento”
E a casa, i familiari di questi straordinari lavoratori come l’hanno presa? «Sicuramente male, perché nessuno se l’aspettava – si ribadisce –. E fa ancor più male che la chiusura dello stabilimento sia stata decisa dopo anni di sacrifici, di turni estenuanti, di festivi trascorsi al lavoro anziché in vacanza o coi propri familiari; e questo, sempre ligi al dovere e senza mai lamentarci. Non ci sembra questo il giusto ringraziamento per i nostri sacrifici e per una realtà che è un “fiore all’occhiello” dell’intera Calabria».
L’azienda puntualizza
Appena online il nostro reportage, l’azienda s’è fatta viva per una puntualizzazione che qui di seguito riportiamo integralmente.
Di fatto, viene riproposta una nota del 22 aprile scorso della Nuova Castelli, il gruppo direttamente interessato (del quale Lactalis ha però il controllo, come esposto in precedenza).
«Nuova Castelli comunica di aver avviato un piano di riorganizzazione aziendale che prevede la razionalizzazione del numero degli stabilimenti della società Alival. Il piano industriale si rende necessario per garantire la continuità produttiva di Nuova Castelli concentrando gli investimenti sulle strutture economicamente sostenibili e interrompendo le attività produttive degli stabilimenti di Ponte Buggianese e Reggio Calabria.
La razionalizzazione degli assetti produttivi della società Alival si rende urgente e necessaria per riportare in equilibrio la gestione operativa dell’azienda, da tempo in sofferenza, e oggi aggravata dall’impatto sui costi di produzione dovuto al protrarsi della crisi pandemica e al nuovo scenario di crisi internazionale.
L’azienda in data odierna, informando le organizzazioni sindacali dell’indifferibilità del piano industriale, si è resa da subito disponibile ad avviare un tavolo di confronto al fine di ridurre, per quanto possibile, il conseguente impatto sociale garantendo una gestione delle conseguenze occupazionali secondo le logiche di responsabilità sociale consolidate nel settore.
La produzione non sarà delocalizzata, rimarrà in Italia e verrà affidata e assorbita da altri stabilimenti dei diversi territori italiani con lo scopo di continuare a valorizzare sui mercati nazionali ed internazionali prodotti di alta qualità ed emblema del Made in Italy».