Pubblichiamo la riflessione del prof. Luigi D'Andrea, ordinario di Diritto Costituzionale all'Università degli Studi di Messina
Nel corso degli ultimi giorni, sembra che si siano compiuti passi assai significativi, forse decisivi, in direzione di una incisiva riforma della seconda Camera (cioè della c.d. “Camera alta” , insomma del Senato della Repubblica).
Sull’esigenza istituzionale – o almeno sull’opportunità politico-istituzionale … – di procedere ad una revisione dell’assetto vigente del bicameralismo è venuta maturando una (almeno sulla carta …) larghissima condivisione, sia tra le forze politiche, sia tra i commentatori delle vicende pubbliche del nostro Paese; meno ampio si presenta l’accordo sulle scelte normative da adottare al fine di delineare positivamente il nuovo volto del Senato.
In buona sintesi, vi è un ampio accordo in ordine al superamento di un’organizzazione parlamentare caratterizzata da un bicameralismo perfetto, cioè dalla presenza di due Assemblee rappresentative dotate degli stessi poteri, tanto con riferimento alla funzione legislativa, quanto rispetto alle attività di indirizzo, controllo ed informazione (dalle quali, si badi, in larga misura dipende la forza politico-istituzionale dei Parlamenti contemporanei). Più precisamente, appare necessario semplificare il circuito del rapporto fiduciario, mantenendo in capo alla sola Camera dei deputati il potere di sfiduciare il Governo, che dunque soltanto rispetto a tale Assemblea rimarrebbe politicamente responsabile. Una simile, tutt’altro che irrilevante, innovazione risulta particolarmente raccomandabile, in quanto la – inedita, nella storia politica italiana – instabilità, per non dire volatilità, recentemente acquisita dal corpo elettorale rende tutt’altro che impossibile la formazione di Assemblee rappresentative diversamente orientate, e di conseguenza ardua (o affatto impossibile) la determinazione della stessa maggioranza politica in seno alle due Camere; con quale esito per la governabilità del Paese, non è certo difficile comprendere …
Più articolate si presentano le posizioni dei partiti e degli analisti rispetto alla questione della composizione del Senato e delle sue specifiche competenze. Naturalmente, l’uno e l’altro ordine di problemi (la struttura dell’organo e la sue funzioni) dipendono dal ruolo complessivo che ad esso si intende assegnare. La riforma in esame, riprendendo tesi già avanzate in Assemblea costituente (e segnatamente da deputati militanti nelle file della Democrazia cristiana, come Costantino Mortati), intende caratterizzare il Senato come “Camera delle autonomie locali”, vale a dire come il “luogo” nel quale, in seno al Parlamento nazionale, deputati rappresentanti degli enti locali possano fare valere le istanze delle autonomie territoriali per coordinarle con quelle delle altre sede autonomistiche e con quelle dello Stato nazionale: secondo l’ultima versione dell’accordo stretto qualche giorno addietro, nel Senato riformato, composto da un centinaio di membri, siederebbero circa ¼ di sindaci (dunque, una ventina), e ¾ di rappresentanti regionali, oltre ad un piccolo numero di senatori di nomina presidenziale scelti nella società civile. Una simile ipotesi, che si avvicina a figure già esistenti in altri ordinamenti (particolarmente al Bundesrat tedesco), mi pare possa essere accolta positivamente: in un sistema caratterizzato dal pluralismo territoriale, è davvero preziosa una sede parlamentare di raccordo tra diversi livelli di governo. Semmai può osservarsi che sarebbe preferibile, appunto sulla scorta dei modelli stranieri ben sperimentati, muovere con più decisione in direzione di uno stretto rapporto parlamentare con le sole Regioni, configurando perciò la seconda Camera come uno strumento di dialogo tra enti dotati delle funzione legislativa (lo Stato e appunto le Regioni), e dunque come una “Camera delle Regioni”.
Ancora bisognosa di una attenta riflessione si presenta la questione del patrimonio funzionale del Senato riformato: nei progetti fin qui proposti, ad esso si attribuiscono competenze legislative (le leggi costituzionali ed elettorali restano bicamerali, le altre possono essere riesaminate entro 30 giorni dalla Camera su richiesta di una forte minoranza di senatori), in ordine ai rapporti con l’Unione europea, all’elezione del Presidente della Repubblica, di consiglieri del C.S.M. e di giudici costituzionali, oltre a compiti di controllo e garanzia. Questioni complesse: basti qui, in conclusione, osservare che le funzioni assegnate al senato devono risultare congrue a quel ruolo di raccordo tra Stato ed autonomie territoriali che rappresenta la stessa ragion d’essere della seconda Camera.
(Luigi D’Andrea)