Chiude in bellezza la rassegna “Fuori in scena” del Teatro dei 3 Mestieri con “Mari”. Di Tino Caspanello insieme a Cinzia Muscolino
Un uomo dinanzi al mare e sua moglie che lo osserva. Ad illuminarli solo la luce tenue di un lume. Tra di loro tante parole che non dicono nulla, e tanto non detto che, invece, dice ogni cosa. E a dar voce ai loro silenzi, a riempire i loro vuoti, a guidare i loro sguardi vi è sempre il suono delle onde del mare.
Mari
Sono questi i quattro grandi protagonisti di “Mari”: un uomo, una donna, il mare e la loro lingua, il dialetto siciliano.
Si chiude in bellezza la rassegna Fuori in scena 2022 del Teatro dei 3 Mestieri con lo spettacolo Mari, un testo di Tino Caspanello (Premio speciale della Giuria —Premio Riccione 2003) con Cinzia Muscolino e Tino Caspanello. Per celebrare il suo diciannovesimo anno di repliche, Mari torna, così, a Messina, dopo aver incontrato il successo di critica e pubblico non solo in Italia ma in tutto il mondo.
Una storia sui limiti della parola e la forza del sentimento, una storia di attese e di desideri, di vuoti e di legami, di paura a cercarsi ma voglia di trovarsi.
Mentre il marito pesca durante la notte, sua moglie gli fa compagnia, vuole sapere se aspettarlo, se tarderà o no, se mangerà o meno. Fatte le sue domande, la donna si ripromette di tornare a casa, ma poi non lo fa mai, dice di rientrare e in realtà resta. Come le onde del mare, che si allontanano ma, poi, tornano sempre a infrangersi sulla riva.
Parole vuote e silenzi che parlano
I due parlano del più e del meno ripetutamente, in uno scambio veloce e serrato di battute, un botta e risposta incessante fatto di parole ordinarie, un dialogare concentrato sulle necessità quotidiane. Il nostro dialetto dà forma a una comunicazione il cui unico tempo è il presente. Una comunicazione che resta sulla superficie del mare.
“Mi pari chi non n’avemu paroli pi ddiri chiddu chi pinzamu. Parramu, parramu e ittamu sulu aria: manciasti, durmisti, travagghiasti, si’ stancu? A ddumani penza Diu. E ccu sti paroli ni inchemu a bbucca. Nni canusci autri, tu?” la moglie chiede al marito.
E l’uomo risponde di sì, che conosce altre parole: “Pigghiai i pisci… a luna china… u mari niru niru… c’è scuru… sentu friddu…” e poi ancora altre che, però, non rivela a nessuno. E perché? “Forsi mmi fruntu puru io” risponde.
Diciamo infinite parole, ne pronunciano così tante continuamente, ma parlare di ciò che si prova fa sempre paura, i propri sentimenti mettono sempre pudore, imbarazzo, le parole del cuore comunicano con un linguaggio silenzioso.
Ad immergersi, infatti, in profondità tra le onde del loro sentire è tutto ciò che i due protagonisti non si dicono, tra sospiri e silenzi; i loro sguardi ci guidano negli abissi di emozioni non dette, lasciate in sospeso ma non per questo meno intense.
Il linguaggio silenzioso dei sentimenti
Il volto di lei cambia in base alle risposte che lui le dà, dalla speranza alla malinconia, dalla tenerezza alla nostalgia, dalla gioia alla disillusione. Ma anche lui, che sembra più freddo e distaccato, non curante della presenza della moglie e ansioso semplicemente di pescare, lascia trapelare, invece, il bisogno che ha di lei, l’affetto, l’amore che prova. Non solo lei non va via come dice, ma anche lui non vuole che se ne vada.
La donna ha paura del mare di notte perché non riesce a capire dove sia, da dove inizi, lo sente ma non lo vede; allo stesso modo, però, marito e moglie sembrano non vedere il sentimento che li lega, non se lo dicono, ma lo sentono, lo provano loro e noi che li guardiamo.
Così come il mare affascina e spaventa, allo stesso modo affascinano e spaventano i sentimenti, è difficile parlarne ma, a volte, come dice Caspanello, basta poco: “io non so parlare, ma ti guardo e capisco”.
E il marito accompagna, allora, la moglie a toccare il mare, ad accarezzarlo, per scoprire quella stessa sostanza di cui loro sono costituiti. Scoprire il mare per scoprire se stessi, ma insieme, senza che la paura riesca a frenarli.
Una storia di cui abbiamo bisogno
Un racconto dolce, delicato, etereo, di un amore maturo, vissuto con tenerezza e nostalgia ma sincero e autentico. Un racconto capace di cullare, proprio come le onde calme di un mare della sera, tra sorrisi e pelle d’oca. Una prosa poetica tutta in dialetto cui dà ancora più spessore l’interpretazione impeccabile di Caspanello e Muscolino.
Nella sua essenzialità fatta di ombre, silenzi e onde, “Mari” è un’opera di cui abbiamo essenziale bisogno.
Premio speciale della Giuria – Premio Riccione Teatro 2003
scritto e diretto da Tino Caspanello con Cinzia Muscolino e Tino Caspanello
Teatro Pubblico Incanto