Il sottosegretario Scotti prospetta la necessità della fecondazione reciproca delle culture
«Una grande Biennale del Mediterraneo»: è la affascinante proposta del sottosegretario di Stato agli Affari esteri Vincenzo Scotti (nella foto), lanciata stamattina nel corso del workshop organizzato dall’Horcynus festival a Messina, in collaborazione con Comune di Messina e Undp (United nations developement programme) Iraq.
«Il mio desiderio – ha spiegato il sottosegretario Scotti – è che possa nascere una grande Biennale del Mediterraneo, sul modello della Biennale di Venezia, perché possa rappresentare al mondo la creatività mediterranea dell’oggi, artistica ma anche della conoscenza e scientifica. La Biennale non dovrebbe avere un luogo fisso, ma dovrebbe svolgersi lungo un itinerario mediterraneo che tocchi diverse città.»
Scotti ha anche parlato di politica internazionale: «Stiamo vivendo una stagione di pace, di sviluppo, di incontro di culture nel Mediterraneo. In Europa si assiste a un cambiamento di fondo nell’approccio alla questione Mediterraneo, non più una visione eurocentrica, non una visione di cooperazione o partenariato, ma una cooperazione di alleanza fra stati sovrani con l’obiettivo paritario di affrontare lo sviluppo e il dialogo all’interno del Mediterraneo».
Alla sollecitazione del rettore dell’Università Kore di Enna, Salvo Andò, che ha chiesto una posizione netta del Governo nazionale riguardo al futuro delle Università, e in particolare, riguardo al nascente progetto del primo Politecnico regionale per favorire la cooperazione culturale nel Mediterraneo, le cui prime risorse sono state già stanziate e utilizzate, il sottosegretario Scotti ha replicato: «Se pensiamo che si debba costruire una speranza sulle cancellerie di Stato sbagliamo, perché questa poggia sull’Università, sugli intellettuali e sulla società civile. Dobbiamo imparare a progettare, dobbiamo riuscire a portare il mondo arabo nelle università europee, e questo non vuol dire l’annullamento delle identità, ma il loro rafforzamento, perché il dialogo presuppone la garanzia di un rafforzamento attraverso una fecondazione reciproca delle culture».