Sentenza d'appello del processo Buco Nero sulla parabola delle società collegate alla Demoter del costruttore messinese
MESSINA – Si chiude con qualche sostanziale aggiustamento di tiro rispetto alla sentenza di primo grado il processo d’appello sul fallimento della Demoter, la società costruttrice “madre” del gruppo di Carlo Borella, ex presidente di Anci Messina e imprenditore attivo in tutto il mondo.
Il collegio di secondo grado (presidente Sicuro, a lato De Rose e Lino) ha ascoltato il Procuratore Generale Felice Lima, che ha chiesto l’assoluzione da diversi capi di imputazione, sia per i componenti del collegio sindacale rimasti ancora imputati che, parzialmente, per i Borella, poi ha sentito i difensori, gli avvocati Alberto Gullino, Isabella Barone, Manuela Mancuso, Bruno Leone, Enrico Trantino, Giovanni Gulino e Santo Trovato, che hanno insistito perché cadessero tutte le accuse.
Dopo la camera di consiglio, la decisione è stata questa: tutti assolti da quattro accuse, e pene rideterminate per coloro ai quali erano contestati i reati principali legati al così detto “buco nero” nei conti della holding. In sostanza vengono scagionati i componenti del collegio sindacale mentre vengono confermate le condanne per Borella e altri della famiglia, ma con sostanziosi “sconti di pena”.
Le condanne
5 anni e 4 mesi per Carlo Borella; 2 anni a Domenica, Zelinda e Letizia Borella, Patrizia Surace, Christian e Manuela Mazzola (per loro la pena è sospesa e viene revocata l’interdizione dai pubblici uffici. Revocati i sequestri delle quote e delle aziende riferibili alle società Rcd ed Epuroxy. Condanna confermata integralmente per Claudio Borella. Assolti perché il fatto non sussiste Giuseppe Bottaro, Gianfranco Cucinotta, Agatino Spadaro, Daniela Lizzio, Sergio Zavaglia e Giosofatto Zimbé Zaire.
I legali hanno preannunciato il ricorso in Corte di Cassazione.
L’inchiesta Buco Nero parte dal concordato Demoter, la holding da cui è “nata” la Cubo. L’impresa registrava fatturati da 60 milioni di euro ed è stata dichiarata fallita nel febbraio 2013. Il 30 gennaio 2013 il Tribunale aveva ratificato il concordato, finito sotto la lente della Procura di Messina.
Secondo l’accusa la Demoter era stata “smembrata”, attraverso lo stesso concordato, restando però nelle mani della famiglia, visto che le imprese, all’interno delle quali sono stati trasferiti i rami d’azienda ceduti, erano intestate familiari o soggetti ad essi strettamente collegati. Gli imputati hanno sempre difeso la regolarità delle operazioni effettuate.