Intervista con l'attore e regista messinese, che saluta in video lettrici e lettori di Tempostretto
MESSINA – Ninni Bruschetta, attore e regista messinese, è in arrivo su Disney Plus “Boris 4”. Che caratteristiche avrà questo ritorno e che cosa ci si deve aspettare dal suo personaggio?
“Mi dispiace molto ma non posso anticipare nulla sui contenuti della serie finché non sarà uscita. Però posso dire che lavorare a Boris 4 è stato, come sempre, una magnifica esperienza professionale e umana. Con tutti gli attori di Boris c’è un rapporto di stima e di amicizia. Abbiamo sofferto molto per l’assenza del grande Mattia Torre e di Roberta Fiorentini, l’indimenticabile Itala. Ma il lavoro di scrittura di Vendruscolo e Ciarrapico ha senz’altro reso onore a Mattia e anche a Roberta, in modo diverso”.
In questi anni lei è pure impegnato tra canto e recitazione con la direttrice d’orchestra e pianista Cettina Donato: dal disco jazz e tour “I siciliani” a “Il mio è nome è Caino”, ripreso in questi giorni nel territorio messinese. Che cosa ha portato, nel suo percorso professionale, la combinazione di canzone e teatro?
“Beh, credo che non esista un uomo di spettacolo, in tutto il mondo, che non abbia mai sognato di essere il frontman di un gruppo musicale. C’è persino una serie tv che si intitola “Volevo fare la rock star”! Certo, nel mio caso, si tratta di jazz e, proprio per questo, per me è un onore far parte di una formazione di musicisti di quel livello. Io porto la mia esperienza teatrale che, probabilmente, è quella che mi ha anche sostenuto nel cantare. Ovviamente, lo devo a Cettina. Mi ha convinto lei. Ha composto i pezzi, adattando le poesie di Antonio Caldarella, e poi ha scritto gli arrangiamenti per otto elementi, più le due voci. Cioè la mia e quella di Celeste Gugliandolo, anche lei messinese, seppure trapiantata a Torino. Abbiamo fatto 29 concerti, da Canicattì a Torino, passando per Lucca Jazz Donna, l’Alexander Plazt e la Casa del Jazz di Roma. E poi Palermo, Catania, Messina, dove ci siamo esibiti con l’orchestra, il festival classico di Trevignano e così via…”.
Prossimi impegni come regista teatrale, come cantante/attore in scena e come attore nel cinema e nelle produzioni?
“Sto per prendere parte a due serie tv, ma anche in questo caso non ne posso parlare perché non ho ancora iniziato. Poi farò il nuovo film di Bruno Colella e quello di Edoardo Winspeare. A febbraio debutto a teatro con una novità assoluta (Mille di Andrea Muzzi) a Cagliari e poi riprendiamo La misteriosa Fiamma della Regina Loana di Umberto Eco, per la regia di Giuseppe Di Pasquale, allo Stabile d’Abruzzo. In mezzo a questi impegni, insegnerò per due settimane all’Accademia Silvio d’Amico di Roma. È un grande onore. Poi ci saranno altri concerti, la ripresa dello spettacolo Il mio nome è Caino e un progetto, ancora in fieri, con lo Stabile di Catania. Come regista vorrei fare il Don Giovanni di Molière perché lo ritengo il classico più attuale in questo momento. Per me Don Giovanni è un testo sull’ipocrisia, che va rappresentato senza giudizi morali. Per questa stagione, però, non sarà possibile perché non ho il tempo”.
Come valuta la situazione artistica a Messina?
“Bisogna guardarla da due punti di vista. Per quanto riguarda gli artisti, ottima. Abbiamo un patrimonio di professionisti da fare invidia a città come Napoli, Catania, Milano. Però l’unica istituzione culturale della città, che è il Teatro di Messina, è ferma da sei anni. Di fatto non produce, se non occasionalmente e senza far circuitare gli spettacoli. Compra spettacoli di giro, per lo più patinati o vecchi, come un qualsiasi teatro comunale. Invece, siccome il nostro teatro è un ente pubblico, dovrebbe produrre, sempre utilizzando le eccellenze del territorio, dovrebbe creare indotto e soprattutto dovrebbe e potrebbe intercettare tutti i finanziamenti nazionali e internazionali destinati a enti con il teatro come fine istituzionale. Tutti finanziamenti che il teatro, negli ultimi anni, ha perso per non aver rispettato i parrametri o, addirittura, per non aver partecipato al bando. Inoltre, io credo che un teatro con più di cinquanta dipendenti dovrebbe essere del tutto autonomo produttivamente: dovrebbe avere tecnici a sufficienza, direttori di palcoscenico, elettricisti, macchinisti, fonici, lucisti e solo qualche amministrativo per sbrigare le carte. Così potrebbe produrre, pagando solo gli artisti e vendendo gli spettacoli, e avere un bilancio veramente virtuoso” (Un punto di vista antitetico è quello espresso dal sovrintendente Scoglio, n.d.r.)
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Che cosa vorrebbe che cambiasse nella nostra città in termini di politica culturale?
“Tutto. Soprattutto vorrei che le istituzioni, tutte le istituzioni, sfruttassero questo incredibile patrimonio territoriale per restituire agli artisti la gestione dell’arte. E, beninteso, non sto parlando di nomine e di incarichi (quello è scontato, secondo me), ma parlo proprio di tessuto culturale, persino di semplici consigli. Se in una città ci sono almeno trenta o quaranta professionisti apprezzatissimi sul territorio nazionale, credo che le istituzioni dovrebbero ritenersi fortunate di poter usufruire dei loro consigli. Faccio un esempio banale. Quando mia figlia si è iscritta in Relazioni Internazionali, io non ero in grado di capire quale fosse la sede migliore. Non ho nessuna esperienza in materia e non posso fidarmi del sentito dire o delle notizie sulla rete. Fortunatamente ho un amico, guarda caso anche lui messinese, che è un’eccellenza nazionale del diritto e cioè Michele Ainis. Il mio pensiero naturale è stato quello di chiederlo a lui. Devo dire che, leggendo le deleghe degli assessori della nuova Giunta, ho avuto l’impressione, ancora solo un’impressione, che ci sia l’intenzione di dare una spinta importante alla città. E sono sicuro che se, insieme a tutte le priorità, si considererà tale anche la cultura, l’immagine della città sarà più luminosa e soprattutto più ricca, in tutti i sensi”.
Un sogno artistico?
“Fino a due anni fa avrei detto un disco. Sono molto felice di quello che faccio e tengo a bada le ambizioni. Del resto, il bello del nostro lavoro è che esso stesso un sogno. Questo può bastare”.