Imbrattare l'arte per "salvare" il pianeta, tra utopia e fanatismo

Imbrattare l’arte per “salvare” il pianeta, tra utopia e fanatismo

Elisabetta Marcianò

Imbrattare l’arte per “salvare” il pianeta, tra utopia e fanatismo

domenica 06 Novembre 2022 - 10:20

Gli attivisti scelgono il cibo per "colpire" le opere, volutamente scelte simboliche che pongono un quesito: vale più l'arte o la vita umana?

Tutti o quasi vorremmo avere un’opera famosa attaccata alla parete, perché questo significa essere amanti dell’arte o fa status symbol? E che cosa saremmo disposti a fare per averla? Perché un dipinto, sintesi di colori ad olio, tratti grafici, pennellate ha un potere così alto? Perché le mostre registrano file interminabili, numeri record di visitatori? Perché il merchandising artistico non conosce crisi e indossare borse con i Girasoli o foulard con i volti di Klimt fa sempre più tendenza nella moda? E perché le nuove proteste degli attivisti ultimante hanno preso di mira proprio i dipinti più famosi? Cronaca di questi giorni infatti i numerosi “attentati” ad opere d’arte famosissime imbrattate dal cibo: un quadro di Horatio McCulloh, i Girasoli di Van Gogh, uno di Turner, uno di Constable e ultimo i Seminatori sempre di Van Goh esposto in questi giorni a Roma. Gli attivisti scelgono il cibo per “colpire” le opere, volutamente scelte simboliche che pongono quesiti: vale più l’arte o la vita umana? E incollano letteralmente le mani alle cornici dopo aver scritto per terra frasi di protesta.

Il tema del futuro e il ruolo degli artisti

Riscaldamento globale, clima, inquinamento sono questi i temi, sono queste le loro battaglie e scelgono di attirare l’attenzione non creando nuove opere come Bansky ma “colpendo” quelle che l’intero mondo considera sacre e intoccabili, quelle tessute dal mistero della creazione, quelle così potenti da procurare la Sindrome di Sthendal. Coraggiosi atti rivoluzionari o pericolosi criminali fanatici? E quanto può turbare le coscienze la domanda che ci pongono: vale più l’arte o il destino del pianeta?

Noi non vogliamo fare facile demagogia, non vogliamo certe scomodare testi sociologici o di psicoanalisi né tantomeno ergerci a giudici. Una domanda, però, vogliamo porla anche noi: se davvero il riscaldamento sta segnando il destino del pianeta e dell’uomo e tutto è destinato a morire, allora queste meravigliose opere in quale museo potranno essere custodite. E soprattutto da quale uomo del futuro essere ancora ammirate come oggetti sacri?

Il valore artistico delle opere

Quasi niente ha più valore economico dell’arte se pensiamo ai record battuti in questi anni per alcune opere famose: il Salvator Mundi a 486,6 milioni di dollari, Interchange di Willem de Kooning a 335,3 milioni di dollari che resta il dipinto contemporaneo più costoso di sempre, Paul Cézanne, I giocatori di carte di Paul Cézanne a 294 milioni di dollari, Orange Marilyn di Andy Warhol – $241 milioni di dollari, Nafea faa Ipoipo? di Paul Gauguin – a 234,7 milioni di dollari, No. 20 (Yellow Expanse) di Mark Rothko- a 227,4 milioni di dollari, Shot Sage Blue Marilyn di Andy Warhol a 195 milioni di dollari, Wasserschlangen II di Gustav Klimt, a 225 milioni di dollari, Number 17A di Jackson Pollock a 223,5 milioni di dollari, No. 6 (Violet, Green and Red) di Mark Rothko a 208 milioni di dollari) senza dimenticare il record relativo ad un’opera italiana di un artista tra i più controversi dell’arte del ‘900 Lucio Fontana, il suo Attese del 1967, quattro tagli di idropittura su tela, è aggiudicato per 2.409.000 euro. Numeri da capogiro e quotazioni che fanno sempre opinione, che fanno discutere sull’importanza commerciale che la nostra società ha sempre riconosciuto all’arte. Valore commerciale o reale potenza artistica che supera qualsiasi altra cosa, quindi?

Vignetta satirica di Domenico Loddo per gentile concessione.

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