Angelo Campolo: "La vita e il teatro? Una formazione continua"

Angelo Campolo: “La vita e il teatro? Una formazione continua”

Tosi Siragusa

Angelo Campolo: “La vita e il teatro? Una formazione continua”

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martedì 29 Novembre 2022 - 17:00

Intervista all'attore, regista, autore e docente di teatro messinese

Tentare di penetrare, sia pure parzialmente, il multiverso di Angelo Campolo è davvero una scommessa… Tante polarità sentimentali animano le sue rappresentazioni, talché le pièce che lo vedono interprete, regista e, prima ancora in veste di autore, ben si inseriscono in quella dimensione per così dire tragica del vivere, in quel perpetuo teatro di cui è palcoscenico la nostra isola. Tutto è nelle sue performance mescolato e cangiante, pur se si rintraccia sempre un’identità, a mio avviso costituita da una visione etica della vita, che comporta un attaccamento alle ragioni degli ultimi, di coloro che non hanno voce, e il fermo proposito di divulgare, attraverso i propri mezzi, sempre più affinati, quelle realtà. Le forme sono differenti, così come gli approcci, ma i suoi protagonisti sono individui concreti, con fattezze realistiche, che Campolo prova – e ben coglie nel segno – a farci conoscere nelle loro ferite esistenziali.

Angelo, lei è oramai un punto fermo, una certezza a livello nazionale, referente per chi predilige un teatro interconnesso alla vita, che ne ripercorra i tratti più connotati di problematicità… La sua scelta di performances di forte impatto sociale, civilmente ed eticamente schierate, è meritoria e mi piacerebbe conoscerne la genesi.

“Credo che tutto nasca dalla mia volontà di orientare maggiori energie e attenzione nell’ambito della didattica. Ho compreso che il mio mestiere di teatrante unito alla buona volontà di insegnare e trasmettere ai più giovani, seppure arricchito da esperienze nei cosiddetti ambiti “a rischio”, da solo non bastava. Occorreva studiare, approfondire e, complice il mio ritorno a Milano da qualche anno (città nella quale mi sono diplomato alla “Scuola del Piccolo Teatro” come attore, sotto la direzione di Luca Ronconi) ho deciso di ritornare sui banchi e ho conseguito una laurea in pedagogia all’Università degli Studi di Milano-Bicocca con una tesi dal titolo “Laboratori teatrali e nuove possibilità di accoglienza”. Ho così messo a fuoco criticità e opportunità di questo tipo di lavoro, riconoscendo i tanti passi falsi commessi in buona fede agli inizi, e soprattutto ho approfondito il valore aggiunto che un teatrante può apportare nell’ambito di una programmazione culturale e formativa orientata a contaminare i linguaggi, mettere in connessione enti diversi nella volontà di ampliare le opportunità che il teatro può offrire aprendosi al sociale (come nel caso de “L’isola dei Miracoli Segreti”, l’ultimo progetto che ho in programma con il Teatro Stabile di Catania, firmatario di un protocollo di intesa con il Tribunale dei minori ed altri enti pubblici). I teatranti hanno capacità che spesso sottovalutano, che si sono fatti “rubare” dal mondo della comunicazione e del marketing: quando affrontano un testo o la rilettura di un classico si interrogano per cercare di scoprire in quelle parole una corrispondenza con il presente, creando naturalmente una connessione tra un contenuto artistico e un contenuto sociale. Ho deciso di andare fino in fondo in questa strada, sospendendo il mio ciclo da “attore scritturato”, per impegnarmi verso una scrittura scenica in cui i ruoli di formatore, programmatore culturale, autore e attore, non sono disgiunti uno dall’altro. Al contrario si alimentano e trovano modo di svilupparsi a più livelli. Il motore di tutto, però, resta sempre la passione per questo tipo di lavoro, la curiosità e la felicità di scoprire nuove strade da percorrere”.

Il “fil rouge” che dall’ormai celeberrima “Stay Hungry”, Indagine di un affamato, giunge all’ultima pregevole piece “A te e famiglia” ci ha consentito di penetrare esperienze di valore sulla condizione dei migranti e da ultimo, realistiche pennellate hanno tratteggiato alcune figure chiave scelte fra i ragazzi difficili e gli educatori  del programma “Liberi di scegliere”.  Come vive questo attraversamento, percorso di certo accidentato, che a mio avviso, è duale, contenendo in sé nero lutto e flagrante luce… a seconda degli esiti reali, di sicuro però è sempre foriero di riscatto.

“Si, mi piace questa corrispondenza tra luce e ombra, dramma e felicità, in un bilanciamento che allontana gli stereotipi o le narrazioni a senso unico dove sai già quello che ti aspetta ancora prima di mettere piede a teatro. Nelle storie che porto in scena il tragicomico sembra più appartenere ad un mondo educativo spesso lasciato operare senza mezzi e con troppe poche risorse. Il punto di osservazione dei miei spettacoli non è mai a “senso unico”, ma cerco di offrire testimonianza di come l’incontro con determinate realtà sia un’opportunità di conoscenza duplice: per chi viene educato, ma anche per chi educa. Almeno così è stato e continua ad essere per me. Il pubblico prosegue un processo di scoperta ancora vivo, fatto di alti e bassi, errori, gioie e avvilimenti, che fa riferimento ad esperienze reali nel tentativo di mettere in luce la necessità, non dico di riscrivere i confini tra giusto e sbagliato, ma almeno di provare a raccontarli in modo diverso. Questo è valso per il lavoro con i ragazzi dei centri di prima e seconda accoglienza ed anche con quelli che affrontano la “messa alla prova” giudiziaria integrata dai percorsi offerti dal protocollo “Liberi di Scegliere” del giudice Roberto Di Bella”.

Nelle rappresentazioni che le pertengono parte essenziale è costituita dall’apporto audio-video, con interazione della valente Giulia Drogo…nell’ultima “mise en espace” vi è stato altresì spazio per una parte canora, resa dalla eccellente cantautrice Giorgia Pietribiasi. Esemplare scelta di elezione, queste commistioni, o casuali coincidenze, di certo felici?

“La collaborazione con il lavoro di Giulia Drogo, specie negli ultimi anni, oltre che nella scenografia si è ampliata nella sfera progettuale e, nel caso di “A te e famiglia”, anche nella scrittura. Credo sia dovuto al fatto che la necessità di individuare una dimensione visiva, in questo tipo di teatro, non passa da un’esigenza ornamentale, ma vuole offrire l’indicazione precisa al pubblico che le storie “minimali” e realistiche che interpreto, si sforzano di offrire una prospettiva ed una visione del problema che rimandi a qualcosa di più ampio. In questo senso la figura dello scenografo, riflettiamo spesso con Giulia, è ormai un vero e proprio coautore, la cui importanza sarà sempre crescente man mano che il tempo passa, anche in considerazione della potenza e del ruolo che oggi giocano le immagini. L’incontro con Giorgia Pietribiasi, giovane e talentuosa cantautrice, nasce a Milano a “Zona K”, quando ho assistito ad uno spettacolo di sua sorella Cinzia, “Padre d’amore, Padre di Fango”, con le scene firmate da Giulia Drogo. In quella circostanza ho scoperto l’incredibile commistione di potenza e delicatezza che le sue canzoni autobiografiche riescono ad esprimere. Mi è sembrato naturale coinvolgerla in “A te e Famiglia” e ho creduto sin da subito che il nostro incontro per quel tipo di storia avrebbe funzionato”.

Appare “prima facie” che la “ratio” di quella che, a buon titolo, può appellarsi una ”missione” ha per lei  valenza pregnante…crede, dunque, è evidente, in un  far teatro,  quale mezzo di “istruzione di massa”, per formare e educare i fruitori, squarciando peraltro ogni divisione fra palco e pubblico. I teatranti, ad ogni passaggio, dallo script, essenziale, alle interpretazioni messe in luce da una direzione sapiente e discreta, scavano dentro la vita, scovando storie e rendendole palpitanti… È davvero così?

“Non saprei ancora dire se il teatro può essere un mezzo di educazione di massa. Certo è che si tratta di uno strumento potente che può apportare benefici, ma anche parecchi danni e generare illusioni ed equivoci, se non usato correttamente e con onestà. Senza voler fare polemica, mi sono accorto di come spesso, anche per buona volontà, si fa davvero una grande confusione accostando i termini “educazione” e “teatro”, finendo per sconfinare in quella retorica insopportabile che si alimenta di slogan mielosi come: “il teatro è magia”, “il teatro è emozione”, “il teatro è vita”. Se così fosse tutti quelli che fanno teatro sarebbero delle persone sane e risolte e invece, le assicuro, non è affatto così. Per fortuna, aggiungo. Il coltello dalla parte del manico lo hanno sempre le istituzioni e chi ha la possibilità di programmare, mi permetto di suggerire. Sono loro che possono davvero fare la differenza, evitando di avallare genericamente l’idea per cui il teatro fa bene. Bisogna compiere scelta consapevoli che partono in base alla preposizione con cui accostiamo i termini “educazione” e “teatro”. In base ad essi cambiano obiettivi, programmazione e tipo di persone da coinvolgere: l’educazione al teatro forma cultori e amatori coinvolgendo cittadini, amanti del teatro e principalmente studiosi. Poi abbiamo l’educazione in teatro, legata alla formazione del mestiere, dunque, rivolta a chi vuole davvero fare di questo lavoro una scelta di vita. Infine, abbiamo un’educazione attraverso il teatro, che non deve essere condotta per forza negli spazi teatrali convenzionale, e che in nessun modo deve avere come fine la rappresentazione teatrale, anzi. Il teatro, in questo caso, diventa un mezzo. Fare un po’ d’ordine, soprattutto per chi programma o stanzia finanziamenti, sarebbe di gran giovamento per tutti”.

Il suo intenso e vigile percorso, già costellato di tanti riconoscimenti, crede procederà in guisa di questa linearità cennata, sempre volto a scandagliare con onestà le ferite, i “vulnera” della nostra contemporaneità, ove i soggetti più fragili e esposti pagano questa loro condizione a caro prezzo….o prevede di visitare altro “humus”….stanno forse germinando novelle significanti prospettive?

“Il mio percorso di studi continua, perché credo sempre nella necessità della formazione che, come raccontavo prima, nel mio caso è foriera di idee e nuovi incontri. Sono impegnato in un percorso di laurea magistrale in progettazione culturale all’Università di Pavia e, oltre che in teatro, scuole e realtà di formazione dove lavorerò nei prossimi mesi tra Milano, Torino, Catania, Palermo e Messina in collaborazione con Daf project, mi sto occupando come autore dello sviluppo di una serie per la televisione, “96 ore”, il cui progetto è risultato vincitore ai bandi selettivi promossi dal ministero della Cultura per sceneggiature e opere cinematografiche. Anche questo spero sia l’inizio di una bella avventura”.

Mi congedo dal poliedrico performer messinese con la sensazione di aver effettuato un percorso di andirivieni dello spirito e di aver quasi assaporato quegli incontri messi in risalto nelle sue mise en scene, che ci hanno consentito di prendere parte a esplorazioni, in uno positivistiche e fantastiche che, attraverso un fil rouge, riconnettono persone e parole, valorizzando le identità differenti di soggetti ai margini e scavando nella loro psiche. La peculiarità del teatrante Campolo consiste proprio nel non trattarsi di un teatrante, al contrario le sue mise en espace fotografano, quasi con abilità da entomologo, quell’altrove che, per indifferenza, incuria, o diffidenza, non è – e ciò non senza colpa- oggetto della nostra attenzione, e tanto meno cura.

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