Dal film di Özpetek alla regia teatrale dello stesso cineasta al Vittorio Emanuele di Messina
MESSINA – “Mine vaganti” in scena. Il regista italo-turco Ferzan Özpetek, in questa densa e rutilante trasposizione teatrale al Teatro Vittorio Emanuele, nella serata del 27 gennaio, con replica stasera 28 gennaio alle 21,00 e domenica 29 alle 17,30, ha mantenuto intatto l’incanto e l’aura magica che già avevano contraddistinto la pluripremiata opera cinematografica del 2010. Evidente e pregevole il lavorio per sottrazione, l’assemblaggio di scene rispetto all’iconico film che, come rivelato dall’artista, aveva ricevuto, dal produttore Domenico Procacci, la preveggente visione di essere lo script proprio votato alla rappresentazione teatrale.
Una gradevole pièce felicemente mutuata dal grande schermo
E così, la gradevole performance, che si è avvalsa della magistrale direzione dello stesso Ozpetek, ha avuto la resa attoriale encomiabile di attori del calibro di Francesco Pannofino, e Iaia Forte, nei ruoli del padre e della madre della famigliola borghese e fortemente tradizionalista in quel di Gragnano (borgo del napoletano, noto per il suo pastificio), ambientazione sostitutiva di quella filmica, pugliese, nel Salentino. Quasi una provocatoria sfida, in quelle contrade, purtroppo, tipologicamente vicine ad affiliazioni camorristiche, che, notoriamente hanno una virile caratterizzazione, nella piece ben abbracciata dall’industriale capo- famiglia.
Carmine Recano e Edoardo Purgatori hanno interpretato i due fratelli, Antonio e Tommaso, ciascuno alle prese con la problematica rivelazione agli altri componenti il nucleo familiare della propria sofferta omosessualità, fino a quel momento tenuta celata, per tema delle ripercussioni in quel contesto ancora socialmente retrivo, e anche nella piece si è conservata, pur nella pregevole sintesi, l’elemento della trama, con il maggiore che brucia sul tempo il secondogenito nel fare coming out dinanzi agli stupefatti parenti. Ricordo, nel movie, le altrettanto convincenti rese di Alessandro Preziosi e Riccardo Scamarcio. La grazia della nonna, antica e modernissima nel contempo, unica ad essersi sottratta a quella ipocrisia familiare, quel perbenismo di facciata, che maschera un profondo malessere, ha trovato in Simona Marchini la giusta forza delicata, che ci ha fatto amare il bellissimo personaggio-vera mina vagante in quell’universo di finzioni- che riesce a comprendere scelte fuori da ogni convenzionale quieto vivere, poiché le riconosce. Ben in parte ogni altra interpretazione, di Roberta Astuti, Sarah Falanga, Mimma Lovoi, Francesco Maggi, Luca Pantini e Jacopo Sorbini, ove i ruoli della zia svampita, della impeccabile Alba, della fresca cameriera Teresa, del compagno invisibile di Tommaso, e dei due scoppiettanti amici gay,(non rispetto necessariamente l’ordine) sono tutti avvincenti.
Si sorride, mentre la recitazione, sovente, si sposta dal palcoscenico alla platea, per stabilire maggiore condivisione e far partecipare, quasi attivamente, gli spettatori, come fossimo i frequentatori di una piazza, avventori che ne incontrano altri, mentre sono dediti alle narrazioni delle loro storie. E il pubblico delle grandi occasioni (si è registrato il sold out in ogni settore) ha tributato con vero tripudio, convinto e ripetuto plauso e vere e proprie ovazioni in chiusura.
Le scene, per intuizione del valente scenografo Luigi Ferrigno, divengono parte integrante davvero, con quei drappeggi che nascondono i frequenti cambi in corso d’opera, a scena aperta, sapientemente valorizzate dal disegno di luci di Pasquale Mari. Menzione particolare meritano altresì i consoni costumi di Alessandro Lai che, con le loro colorazioni sgargianti,soprattutto (ma non solo)con riferimento ai due amici gay di Tommaso, vere “drag qeen“ hanno costituito elemento di forza, inserendosi con maestria nel contesto in rappresentazione. Le musiche, ancora, hanno interagito, compiutamente, sottolineando tratti peculiari.
Una versione in apparenza leggera, dunque, in realtà coraggiosa nella sua paradossalità, ponendo il focus sulla disfunzionalità di tante famigliole, avvezze a celare la propria vera essenza, generando sintomi disturbanti. Posso, allora, e con sincero afflato, far anche io parte degli estimatori di uno spettacolo giustamente corale, ma ove ciascun personaggio ha ricevuto adeguato studio della tipologia caratteriale, dando vita ad un mirabile affresco di un “normale” paesino beghino del nostro sud, ove ,ancora ai nostri giorni, non si è messa la sordina al pesante tributo da versare al giudizio della gente, generando una atmosfera di derivazione quasi pirandelliana, che di ,certo, nella performance vira su un fronte umoristico, sardonico, velato dalla componente tragica ,che sempre contraddistingue, da erma bifronte, ogni amara risata.