In scena fino all’otto marzo al Teatro Vittorio Emanuele, il primo spettacolo della compagnia siciliana Vucciria Teatro, "Io mai niente con nessuno avevo fatto", vincitore del San Diego International Fringe Festival 2014.
Nell’estate del 1984, nelle radio di mezza Europa, girava una canzone, Smalltown Boy, dei Bronski Beat. Io non ero ancora nata, per cui posso solo vagamente immaginare la gioventù di quei giorni, la tristezza dilagante dei synth che si diffondevano dagli stereo delle macchine, l’imminenza del disastro nucleare, la bomba, il sovrappensiero costante degli anni della guerra fredda. Una tristezza più sottile di quella dei nostri giorni, forse.
Se il brano era triste, il video di Smalltown Boy era altrettanto angosciante. Un ragazzo gay si innamora del compagno di nuoto e, consigliato dagli amici, decide di dichiararsi. In definitiva i ragazzi del paese lo riempiono di botte, i genitori lo cacciano di casa, previa paghetta di 25 sterline, e tutto rientra nella normalità. La scena si chiude con il protagonista, bastonato ma in prospettiva felice, su un treno che fugge dalla provincia.
Un’estetica molto simile a quel video si rivive sulla scena di “Io mai niente con nessuno avevo fatto”, spettacolo della compagnia siciliana Vucciria Teatro per la regia di Joele Anastasi, con Enrico Sortino e Federica Carrubba Toscano, in scena al Vittorio Emanuele fino all’otto marzo.
Sul palco si dischiudono tre figure: Giovanni, Rosaria e Giuseppe, le voci narranti, i tre destini che si incontrano in una Sicilia anni 80, ancora baluardo di una sporca virilità che inferte senza vergogna brutali soprusi a chi ha deciso di vivere fuori dagli schemi preordinati della società.
Giovanni e Rosaria, sono due cugini uniti da una incontenibile sete di libertà; ingenuo e gioioso, lui nel suo volto da bambino e nelle movenze languide, sgraziata e possente lei, donna siciliana dall’orgoglio marmoreo e dalla fragilità emotiva delle ragazze precoci dei quartieri popolari.
Se il femminino e l’elemento virile sembrano quasi ribaltarsi nelle figure dei due cugini, Giuseppe (interpretato magnificamente da Enrico Sortino) appare come la perfetta sintesi dell’ambivalenza sessuale di ogni essere umano: a metà strada tra il passato da reietto della società e un mancato riscatto personale, a lungo inseguito attraverso la danza, Giuseppe si muove in scena con eleganza e fermezza, attraversando di continuo, il confine dell’omosessualità e del desiderio carnale. Lo spettacolo vive due momenti: una prima parte di assoluta leggiadria, con monologhi venati di ironia e irriverenza e nudità sul palco che rimandano agli Altri Libertini di Tondelli e una seconda parte, dalle atmosfere tetre, più vicine agli ultimi momenti di Camere Separate: il baratro, la malattia e tre binari narrativi che si separano definitivamente lungo l’immaginaria, infinita linea parallela della solitudine.
Giuseppina Borghese
Bello, molto bello.
Uno spaccato di realtà che può infastidire soltanto i borghesi ipocriti ed i bigotti.
Invito la gente ad andare a vederlo
Un’ora di lacerazione ben recitata
Bello, molto bello.
Uno spaccato di realtà che può infastidire soltanto i borghesi ipocriti ed i bigotti.
Invito la gente ad andare a vederlo
Un’ora di lacerazione ben recitata