Vento da Sud Est: va in scena la storia che cammina. E' una piccola "riforma sociale" dal vivo

Vento da Sud Est: va in scena la storia che cammina. E’ una piccola “riforma sociale” dal vivo

Rosaria Brancato

Vento da Sud Est: va in scena la storia che cammina. E’ una piccola “riforma sociale” dal vivo

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sabato 14 Novembre 2015 - 07:53

Vento da Sud Est, in scena anche oggi e domani alla Sala Laudamo, è molto più di uno spettacolo, è cronaca quotidiana di una società che implode. E' un piccolo pezzo di "riforma dal vivo" che una squadra di sognatori ha realizzato. Andatelo a vedere e non solo per "vedere i neri che fanno gli attori"....

La scorsa settimana ha visto un pezzo di storia che cammina, un pezzo di società che cambia. La scorsa settimana ho visto alla Sala Laudamo una riforma dal vivo.

Seduta al teatro ho visto molto più di uno spettacolo, ho visto un’azione che crea il cambiamento e che va ben oltre la messa in scena nell’ambito di un laboratorio.

Vento da Sud Est infatti è molto più di uno spettacolo che ha inaugurato il laboratorio Progetto Parola Pasolini organizzato dalla compagnia Daf Teatro dell’esatta fantasia. E’ un pezzo del nostro presente che affonda le radici in un passato di paura dell’altro e guarda al nostro futuro, quello di una società senza più figli, senza pensioni, senza valori, cementata solo dalla solitudine di Facebook.

Chi non ha avuto modo di andare “a vedere i neri che recitano” può farlo ancora oggi e domani, perché raramente può capitare di andare a teatro e guardarsi allo specchio. E vergognarsi di quello che si vede in quello specc

La scena è subito dei migranti, quelli veri, per intenderci, in carne ed ossa, quelli che non guardiamo quando passano per strada e facciamo finta che non esistano. Sono 4 giovani del Mali, ospiti del centro Ahmed, che in due mesi hanno imparato la nostra lingua. Mamoudou Camara, Moussa Yaya Diawara, Ousmane Dembele, Jean Goita (ma un ringraziamento va anche per l’aiuto a Fasasi Sunday) riescono a fondere più lingue e più sentimenti, creando un’atmosfera fuori dal “luogo” , l’inferno dal quale vengono e l’inferno nel quale approdano, e fuori dal tempo.

Mamoudou, destinato a morire, Moussa, destinato a morire, Ousmane, destinato a morire, Jean, destinato a morire”. Due anni nel deserto, poi un barcone, poi il mare, poi coste che dovevano essere il paradiso ma non lo saranno mai.

Loro, i migranti, quelli che vivono a Messina dal momento dello sbarco, parlano con PierPaolo Pasolini, ed alla sua capacità di guardare avanti nel tempo. Perché alla porta “l’intruso” che manda il tilt la finta tranquillità di una famiglia borghese, stavolta, decenni dopo, sono loro, i neri, i clandestini, gli uomini neri che fingiamo di ospitare. Tutto lo spettacolo è scandito da quel bussare incalzante alla porta, da quel tapparsi le orecchie di una normale-ipocrita-perbenista-cattolica-famiglia occidentale, con le lasagne la domenica, la finzione dell’ascolto, i farmaci che imbottiscono il corpo per guarire l’anima. Le immagini di vita, di sorriso, di energia sono tutte quelle che riguardano gli intrusi, che finiscono con l’entrare fino in sala irrompendo in mezzo al pubblico. Le scene che riguardano l’ordinaria e perbene famiglia Banks, mamma casalinga (Patrizia Ajello), papà stakanovista (Luca D’Arrigo) abbrutito da tic e pillole, figlio che sa sognare ma resta ingabbiato su facebook e riesce ad “archiviare” e “condividere” piuttosto che vivere (Giuliano Romeo), la figlia modello che si rivela ribella quando ammette di non credere in Dio (Claudia Laganà). In quella apparente vita serena fa irruzione Glory Aibgedion, straordinaria Mary Poppins di un occidente che muore. A riportarci nel 2015 dal tempo senza tempo sono i due narratori Michele Falica e Antonio Vitarelli con i loro dati agghiaccianti di una “famiglia” tipo che non esiste più, tante monadi chiuse al Vento da Sud Est e da qualsiasi altra parte soffi. Figli che restano a casa fino a 40 anni, matrimoni in continua diminuzione, divorzi in aumento, single e coppie di fatto in aumento, e poi disoccupazione drammatica. La minaccia non è il vento non sono gli intrusi ma viene dalle stesse fondamenta che la Mary Poppins del 2000 scuote entrando in casa. Vento da Sud Est parla ad una società che è implosa ma che non vuole ammettere che è arrivato il momento di aprire la porta. Non serve a nulla tapparsi orecchie ed occhi, stare su facebook o prendere pillole, perché a noi, con le nostre ipocrisie siamo “destinati a morire”. E a strappare pezzi di certezze ci pensa l’unico rivoluzionario di questo secolo: papa Francesco, con il coraggio delle parole semplici.

Mezzo secolo fa Pierpaolo Pasolini chiudeva il suo Teorema con una frase: sono pieno di una domanda a cui non so rispondere. Così siamo oggi, incapaci di aprire le porte del futuro.

Vento da Sud Est, la nebbia è là, qualcosa di strano tra poco accadrà, troppo difficile da capire cos’è, ma penso che un ospite sta arrivando per me.

Non sappiamo chi sono ma quel che è peggio li odiamo senza conoscerli, perché fanno tremare le nostre ipocrite certezze. Ma Vento da Sud est bussa alle nostre porte in senso reale.

Mamoudou, destinato a morire, Moussa, destinato a morire, Ousmane, destinato a morire, Jean, destinato a morire” non sono immagini della tv, foto scattate all’arrivo della nave, magari mentre sei sdraiato sulla nave da crociera. Sono in carne ed ossa sul palco, grazie a Clelia Marano ed Alessandro Russo, e grazie a questi folli sognatori come Giuseppe Ministeri e Angelo Campolo (la drammaturgia curata insieme a Simone Corso) hanno portato in scena la vita quotidiana ma fatto anche di più. Essere attori per i 4 migranti può essere un modo per restare, una ragione per avere una Terra che sia madre e patria o comunque ospitale invece che nemica. L’obiettivo è riuscire a farli restare proprio perché impegnati nel mondo della cultura, proprio perché parti attive nel laboratorio. Ecco perché parlo di un pezzo di riforma, piccolissimo, bellissimo. Invece che chiuderci a riccio, girarsi dall’altra parte verso un loro destino di nuovo schiavismo nei campi piuttosto che in mille altri modi, li possiamo far restare, regolarmente, legittimamente, in questo esperimento targato Progetto Pasolini. Il grazie va quindi a tutti, da Ministeri a Campolo, a Clelia Marano, Alessandro Russo, ai migranti ed a quanti faranno sì che un piccolo pezzo di storia possa cambiare a Messina.

Alla porta qualcuno continua a bussare. Abbiamo davvero il coraggio di aprire?

Rosaria Brancato

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