“Vina Fausa”, vita e morte di Attilio Manca

“Vina Fausa”, vita e morte di Attilio Manca

Laura Giacobbe

“Vina Fausa”, vita e morte di Attilio Manca

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domenica 17 Gennaio 2016 - 08:10

Un tentativo di far luce sulla vicenda dell’urologo barcellonese, ritrovato morto in circostanze sospette nel febbraio di dodici anni fa

Un tema forte quello proposto dal quarto spettacolo in cartellone della rassegna Scenanuda, al teatro Beniamino Joppolo di Patti. “Vina Fausa – In morte di Attilio Manca”, il testo del giovane drammaturgo Simone Corso, messo in scena per la regia di Michelangelo Maria Zanghì, è un tentativo di far luce sulla vicenda dell’urologo barcellonese, ritrovato morto in circostanze sospette nel febbraio di dodici anni fa. Il caso all’epoca fu archiviato in fretta, lasciando irrisolti non pochi nodi riguardanti le circostanze del ritrovamento, nonché le cause stesse della morte.

Attilio Manca era un medico di 34 anni, appena agli esordi di una carriera che si prospettava brillante e che lo aveva già visto emergere nel contesto nazionale, per essere stato il primo in Italia ad effettuare un intervento alla prostata in laparoscopia. Soddisfazioni sul lavoro, l’affetto dei familiari, una vita serena che non lasciava certo sospettare la minaccia di una fine tanto improvvisa quanto brutale. Poi una mattina, il 13 Febbraio del 2004, Attilio viene ritrovato morto nel suo appartamento di Viterbo. Un lago di sangue. Ecchimosi su tutto il corpo, il setto nasale deviato e due fori di siringa sul braccio sinistro. Immediatamente viene dichiarato il suicido per overdose, per la presenza nell’organismo dell’uomo di sedativi e sostanze stupefacenti, un mix letale che si sarebbe auto-iniettato per togliersi la vita. Si trascura però un dettaglio, il fatto che Attilio fosse mancino. Né tantomeno si dà peso ad altri fattori che, se presi in considerazione, avrebbero allontanato inequivocabilmente dalla pista del suicidio: il fatto che le siringhe fossero state sì ritrovate usate, ma con il cappuccio salva ago inserito; la presenza delle gravi lesioni sul corpo, non giustificabili come frutto di una semplice caduta, come invece venne riportato. La famiglia, infatti, non accettò mai quanto dichiarato e chiese più volte che il caso venisse riaperto. Il sospetto maggiore era che la notorietà del medico fosse giunta alle orecchie del boss mafioso Bernardo Provenzano, affetto appunto di tumore alla prostata, e che questi lo avesse convocato per farsi opere. Una volta incontratisi faccia a faccia, Attilio diventava però un testimone scomodo, che andava eliminato.

Questi i fatti, che fino ad oggi non hanno visto conclusione definitiva. Diversi elementi, tuttavia, come le rivelazioni del pentito Carmelo D’Amico, risalenti proprio ad un paio di giorni fa, sembrerebbero confermare quei sospetti. “Vina Fausa” si muove appunto lungo questa scia, da un lato gettando luce sulle ambiguità dei fatti, su certe strane coincidenze, troppo evidenti per essere ignorate, sul modo troppo repentino in cui si è voluto chiudere il sipario su questa storia… dall’altro ridisegnando, davanti agli occhi di un pubblico commosso, la figura di questo giovane uomo, genuino, semplice, la sua vita interrotta lì dove invece dovrebbe cominciare, una vita. Ne racconta l’infanzia spensierata, la giovinezza, gli anni di studio solerte e poi la laurea ed i primi successi. Poi, l’incrocio di destini con l’uomo sbagliato, che gli fu fatale. “Vina fausa” racconta questa storia. Lo fa con un moto di rabbia, per le ingiustizie insanabili del nostro tempo, ma anche, forse, con la commozione di poter fare un piccolo miracolo: riconsegnare intatto il ricordo di Attilio, farlo rivivere, anche solo per un’ora, per chi lo ha conosciuto e amato, e come ha commentato il fratello Gianluca “restituire quantomeno una verosimile realtà storica”.

Particolarmente toccante la scena in cui (il palco diviso in due metà esatte) il pubblico ascolta contemporaneamente le due opposte versioni della storia, una per bocca del presunto killer, l’altra per bocca della stampa. Il risultato finale risulta coinvolgente, grazie tanto alla carica del testo quanto alla resa degli interpreti, Michelangelo Maria Zanghi (nei panni di Attilio oltre che alla regia), Francesco Natoli e Simone Corso.

Laura Giacobbe

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